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inserito il: 31-12-2009
COPENHAGEN NON E' MORTO, UNA LEZIONE DALL'ONU
di Susan Yoshihara

L’ex ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite John Bolton ha recentemente affermato che il mancato obiettivo di arrivare a un trattato vincolante sui cambiamenti climatici, sul lungo termine potrebbe rendere il documento finale di Copenhagen più pericoloso per gli interessi nazionali. “Proprio perché vedranno il documento di Copenhagen solo come una dichiarazione politica con poche conseguenze invece che un atto giuridicamente vincolante, molti governi abbasseranno la guardia”, ha scritto Bolton la rivista britannica Spectator. “Saranno più portati a guadagnarsi il favore dell’opinione pubblica adottando un linguaggio cui altrimenti si sarebbero opposti, pensando di poter evitare di prendere ‘impegni’ legali nel vero trattato”, ha scritto.

Il vertice ambientale durato due settimane si è chiuso il 18 dicembre con un documento in 12 paragrafi che sembra aver lasciato scontente tutte le parti. L’obiettivo dichiarato di Copenhagen era di creare un trattato legalmente vincolante che sostituisse il Protocollo di Kyoto, nato per regolare e monitorare le emissioni di gas serra dei paesi sviluppati e trasferire denaro ai paesi poveri per aiutarli ad abbassare le loro emissioni.

Osservatori esperti dei dibattiti politici alle Nazioni Unite fanno notare che il fatto che il vertice sia stato controverso e si sia concluso con un documento non vincolante non significa che gli attivisti non lo usino comunque per promuovere i veri obiettivi che i governi hanno chiaramente respinto.

Le organizzazioni internazionali a favore della vita e della famiglia da tempo avvertono che i sostenitori del diritto all’aborto hanno usato la ‘distrazione’ e l’ingenuità dei governi nel corso di negoziati su documenti non vincolanti per indirizzare il dibattito in favore dei cosiddetti “nuovi diritti”.

Bolton prevede che accadrà lo stesso per il documento di Copenhagen: “Le organizzazioni non governative (ONG) internazionali dedite alla causa ecologista - che sanno pazientare e hanno memoria lunga - e i governi dirigisti loro alleati spesso resuscitano impegni politici caduti nel dimenticatoio e colpiscono gli ignari rendendoli legalmente vincolanti”.

L’esempio più clamoroso di questo modo di operare è il tentativo di elevare lo status di documenti non vincolanti usciti dalle controverse Conferenze internazionali dell’Onu del Cairo (1994, sulla popolazione) e di Pechino (1995, sulla donna). Durante queste conferenze gli USA guidarono una campagna per dichiarare l’aborto un diritto umano internazionale. La reazione fu così forte che il vice presidente Al Gore dovette dichiarare durante la Conferenza del Cairo che l’aborto era “fuori discussione” e anche il documento finale del Cairo dichiarava espressamente che l’aborto non poteva essere considerato un metodo di pianificazione familiare, lasciando alle legislazioni nazionali ogni possibilità di cambiamenti nelle leggi sull’aborto.

Ma questo non ha fermato il personale dell’ONU e gli avvocati attivisti dal presentare I documenti firmati al Cairo come una ‘legge dolce’ che include il diritto all’aborto.

Allo stesso modo, gli attivisti sostengono che l’aborto è incluso nell’espressione “salute riproduttiva” che appare in molti documenti legalmente non vincolanti come la Convenzione per i diritti delle persone disabili. Quando questo trattato fu negoziato, però, i sostenitori dell’aborto non sostennero apertamente questa interpretazione abortista dell’espressione “salute riproduttiva”, e con questa intenzione molti paesi pro-life accettarono il concetto.

I soliti attivisti insistono anche sul fatto che il termine “genere” nei documenti dell’ONU indica l’esistenza di più di due sessi, malgrado il fatto che l’Assemblea Generale dell’ONU non abbia mai accettato questa interpretazione.

Anche se le questioni in ballo a Copenhagen sono diverse, c’è chi veglierà sull’eventuale uso strumentale del documento finale. E i governi sono chiamati a fare lo stesso.