15 luglio, il parlamento italiano sorprende piacevolmente i pro-life di tutto il mondo, approvando una mozione che chiede al governo di Roma di promuovere una risoluzione in sede di Nazioni Unite per condannare l’aborto forzato. L’iniziativa parlamentare è stata guidata con successo da Rocco Buttiglione, presidente onorario dell’UDC e uno dei più noti politici cattolici europei. Due giorni dopo lo stesso Buttilglione, con una intervista pubblicata dal Corriere della Sera, lascia però perplessi molti attivisti pro-life definendo “un errore” il suo passato sostegno per la criminalizzazione dell’aborto, e sostenendo la necessità di unirsi ai politici pro-choice per trovare “un terreno comune” finalizzato alla riduzione dell’aborto.
In questa intervista al Friday Fax, il 28 luglio, Buttiglione risponde alle preoccupazioni dei “pro-life” chiarendo il senso delle sue ultime dichiarazioni e spiegando il senso del suo recente successo legislativo.
Le sue recenti dichiarazioni sull’aborto hanno creato molto interesse… Diciamo una notevole confusione. Cerchiamo di rimettere le cose in ordine…
Bene, cominciamo dall’approvazione nel parlamento italiano della mozione del 15 luglio. Può spiegare l’obiettivo della mozione e perché è rilevante? Mi permetta prima di offrire qualche cenno sulla situazione in Italia a proposito di vita non nata. In Italia c’è stato un referendum sull’aborto nel 1981 e noi pro-life abbiamo perso, 68% contro 32. E’ stata una sconfitta terribile. Deve capire che la situazione in Italia era molto diversa rispetto agli Stati Uniti. Qui l’aborto è stato imposto al popolo americano dalla Corte Suprema nella sentenza Roe contro Wade. Il popolo non ha mai votato per l’aborto. In Italia il popolo ha scelto liberamente per l’aborto, una sconfitta tremenda per la causa della vita. Negli anni successivi c’è stata una grande battaglia e la situazione è migliorata. Giovanni Paolo II ha avuto un grande impatto sulla cultura. Abbiamo avuto un referendum sulla bioetica un paio d’anni fa, sulla fecondazione assistita e la ricerca sugli embrioni, e abbiamo vinto, cosa che nessuno si aspettava. A dire il vero non siamo stati noi a vincere ma lo Spirito santo. Ora noi sappiamo però, che se tenessimo un altro referendum sull’aborto perderemmo. Non malamente come nel 1981, ma perderemmo comunque.
D’altro canto, se non c’è una maggioranza antiabortista in Italia, c’è tuttavia una maggioranza che considera l’aborto troppo diffuso e che debba essere fatto qualcosa per ridurre l’aborto. Perciò abbiamo preso alcune iniziative. Una iniziativa riguarda il limite di tempo massimo per praticare l’aborto. Mentre sappiamo da un punto di vista filosofico che un embrione è un essere umano, non c’è consenso nel vietare l’aborto nel primo periodo di gestazione. La gente pensa comunque che l’aborto di un feto dopo la ventesima settimana sia inaccettabile. Così abbiamo cercato di far passare una risoluzione che vietasse l’aborto dopo le 20 settimane. Stiamo inoltre cercando di mettere in pratica quelle parti della esistente legge sull’aborto che contengono utili indicazioni e misure per la prevenzione.
E l’iniziativa del 15 Luglio? Quello descritto finora è il background dell’iniziativa del 15 luglio. Ci siamo detti: cerchiamo una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che metta al bando l’uso dell’aborto come strumento di controllo della popolazione. E’ la continuazione della battaglia ingaggiata dalla Santa Sede alla Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo al Cairo (1994) e alla Conferenza di Pechino sulla Donna nel 1995. In alcune parti del mondo, in Cina in particolare, l’aborto è imposto e c’è bisogno di un permesso del governo per avere un secondo figlio. Ma anche in altre parti dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina vediamo madri che vengono ricattate: programmi che dicono: “Ti diamo pane, ma solo se accetti di abortire”. E questi sono programmi svolti dalle agenzie dell’ONU, che pure tali programmi finanziano. Così l’idea è: perché non cerchiamo una risoluzione dell’ONU che chieda il bando dell’uso dell’aborto forzato? Si tratterebbe di una risoluzione che potrebbe unire sia i pro-life che i pro-choice. Perché ciò che accade in Cina è contro sia il bambino sia la scelta. La madre vuole difendere la vita del bambino, ma la libertà di scelta è distrutta così come la vita del bambino. Ecco perché abbiamo proposto una risoluzione nel parlamento italiano che è passata contro ogni aspettativa.
Avete ottenuto consenso? Per la maggior parte i “pro-choice” non hanno votato per noi, ma neanche contro di noi. La maggior parte di loro si è astenuta, il che non è male. E ora abbiamo dato il via a una campagna mondiale per portare la questione all’Assemblea Generale dell’ONU. Per fare questo, speriamo di mettere insieme pro-life e pro-choice, sebbene vorrei che fosse chiaro che nessuno ha rinunciato ai propri principi. Ma almeno su questo punto possiamo essere uniti.
Lei ha citato una campagna mondiale. Può spiegarci cosa si aspetta accada al Parlamento Europeo dove Carlo Casini porterà una analoga risoluzione? Al momento stiamo lavorando su una iniziativa al Parlamento Europeo, guidata da Carlo Casini e Magdi Cristiano Allam. E anche al Consiglio d’Europa grazie a Luca Volontà, un membro del mio partito. Sono già stato in Polonia per avere un sostegno popolare e ho in programma altri viaggi del genere in Europa. E cercheremo almeno una benevola neutralità da parte degli Stati Uniti.
Rispetto agli Stati Uniti, qual è il vostro obiettivo? Non so ancora. Sappiamo che è importante cercare un contatto positivo con l’amministrazione Obama. Il presidente americano ha promesso al Papa che si impegnerà per ridurre l’aborto. D’altra parte, so che c’è una battaglia negli Stati Uniti intorno alla vita, e non voglio fare nulla che danneggi i pro-life in questa battaglia. Quindi voglio parlare anche con loro e avere il loro sostegno. Voglio anche rassicurare tutti i pro-life che non stiamo cedendo sulla vita di un solo bambino. Non stiamo facendo scambi, accettando la morte di un certo numero di bambini per salvare le vite di certi altri. Questo non è ciò che stiamo facendo, e non rinunciamo ai nostri principi.
Quando verrà negli Stati Uniti? Non so ancora. Incontrerò un gruppo di amici inclusa (l’ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, ndr) Mary Ann Glendon, in agosto in Italia, e discuterò con loro su cosa è meglio fare.
E’ davvero possibile trovare un vero terreno comune? C’è soltanto un’area limitata dove noi pro-life possiamo unirci ai pro-choice in una battaglia comune: dove la libertà di scelta della donna è violata insieme alla vita del bambino. Io non credo che ci sia bisogno di dare ai veri pro-choice alcuna mazzetta per convincerli a unirsi con noi in questa battaglia. Se è vero – come sostengono – che non sono per l’aborto ma per la libertà di scelta, ebbene unirsi a noi è la possibilità che hanno per dimostrarlo. Se non lo fanno vorrà dire che non sono per la scelta, ma per l’aborto. Che vogliono l’aborto. Che non pensano che la vita umana debba essere sostenuta, ma che si deve ridurre la popolazione mondiale con ogni mezzo. Inoltre, questa iniziativa costringe la gente a rendersi conto. Finora, l’etichetta pro-choice poteva essere una copertura per una ideologia nazional-socialista di “etica della barca”: siccome siamo troppi sulla terra, tutti i mezzi diventano buoni per ridurre la popolazione. Noi vediamo che nei paesi del Terzo Mondo, la pratica dell’aborto è molto più crudele e diffusa che non nei paesi occidentali. Quindi ora vedremo se un terreno comune è possibile.
Come lei sa, alcuni pro-life hanno espresso preoccupazione circa l’approccio del “terreno comune”, temendo che possa fare il gioco di chi vuol dividere il movimento per la vita. Come giudica queste preoccupazioni? Io sono dell’idea “Ma perché no?”. Posso capire che si possa essere contro il compromesso, dove uno inizia a dire che alcuni aborti sono male mentre altri sono bene. Questo sarebbe completamente inaccettabile. Ma noi non stiamo facendo questo. Quello che accadrà è che rispetto ad alcuni aborti – quelli forzati – entrambe le parti sono d’accordo nel considerarli un male. Per quanto riguarda tutti gli altri aborti, noi continueremo a dire che sono un male, mentre l’altra parte dirà che sono accettabili. Noi abbiamo combattuto l’un contro l’altro prima e continueremo a combattere dopo. Peraltro credo che la nostra posizione nei paesi occidentali sarà rafforzata dall’iniziativa di condanna dell’aborto forzato, perché essa rende più evidente che il feto non è parte del corpo della donna, e rende chiaro che l’aborto è un male morale. Non è perseguito pubblicamente, ma è un male morale. In questo senso penso che l’iniziativa rafforzi la nostra posizione, anche sa da un punto di vista legale non cambia nulla.
Lei crede – come le hanno attribuito i media - sia stato “un errore” cercare di difendere la vita del bambino non nato anche quando la madre vuole l’aborto C’è un punto dove la citazione riportata non era corretta o, per meglio dire, era fuori contesto, così da dare un’impressione errata. Ho detto che è giusto difendere la vita del bambino, anche contro la madre. E’ giusto ma è molto difficile, forse impossibile. Dobbiamo difendere i diritti del bambino, ma anche rafforzare la libertà della madre, offrendo alternative alle donne, avendo fiducia che più le donne saranno libere meno probabile sarà che accettino la morte del loro figlio.
Ma è stato “un errore” opporsi alla depenalizzazione dell’aborto? La mia dichiarazione è stata semplificata. Io non ho detto che è stato sbagliato cercare di difendere i diritti del bambino con l’uso del codice penale. Non ho detto questo. La vita del bambino deve essere difesa con tutti i mezzi possibili. Con il codice penale? Sì, naturalmente, con il codice penale dove questo è possibile. Ma oggi in Italia questo non è possibile, quindi dobbiamo affidarci ad altri mezzi. Dobbiamo renderci conto che non abbiamo il consenso per mettere fuorilegge l’aborto. Ma un altro punto è che abbiamo confidato troppo nel passato sulla sanzione penale. Questo è solo un elemento nella strategia per la difesa della vita, ma non l’unico elemento. E ripeto, se noi non rimuoviamo le cause che portano così tante donne ad abortire, non vinceremo mai la nostra battaglia contro l’aborto. Non vinceremo la battaglia contro l’aborto confidando solo sulla sanzione penale.
Cosa direbbe ai leader politici di altri paesi, particolarmente nelle Americhe, dove c’è una fortissima pressione, da parte delle agenzie delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative, per depenalizzare l’aborto? Abbiamo appena visto in questi giorni, ad esempio, come Amnesty International attacchi il Nicaragua per le sue leggi che proteggono la vita non nata… Io direi a loro: difendete le vostre leggi contro l’aborto, e allo stesso tempo varate buone politiche in difesa della maternità, per il sostegno delle madri. Perché se non farete questo, presto o tardi la pressione si farà così forte che sarete sconfitti. Ma se farete buone leggi per le madri, riuscirete a mantenere le vostre leggi contro l’aborto. Non potete rendere antagonisti il sostegno delle madri con la difesa penale della vita del bambino. Sono due parti della stessa strategia per difendere la vita. E’ sempre meglio avere due gambe. Ovviamente se hai solo una gamba, devi imparare a camminare con una gamba. Non è impossibile, ma non è facile.
Ma anche se si punta ai bisogni delle madri, lei pensa che questo fermerà l’altra parte dal premere per la legalizzazione dell’aborto? Basta vedere l’esempio del Nicaragua, dove le leggi per proteggere la vita non nata sono state rafforzate e – secondo le statistiche del Ministero della Salute – i tassi di mortalità materna sono diminuiti. Malgrado questo, una pressione tremenda viene continuata per costringere i legislatori del paese a depenalizzare l’aborto. In parte si sarà sempre attaccati, perché c’è una lobby pro-aborto che non è interessata alla scelta delle donne, che realmente non è interessata alle donne. Sono fanaticamente convinti che la popolazione mondiale deve essere ridotta in ogni modo. Se potessero farlo con l’infanticidio, sarebbero anche per l’infanticidio. Perciò bisogna aspettarsi di essere sempre attaccati. Ma si deve anche pensare positivamente. Ogni nazione deve disegnare una strategia per la difesa della vita, legata ai bisogni della nazione. Non pretendiamo che l’Italia sia un modello, perché so che mentre una strategia può avere successo in Italia, questo si basa su giudizi che rispondono alla situazione politica odierna nel nostro paese. Questo potrebbe cambiare domani, così come ci sono differenze già oggi tra diversi paesi. Dobbiamo capire che la battaglia per la vita deve essere adattata alle diverse culture a e alle situazioni socio-politiche. In Italia speriamo che tra 10-15 anni – se facciamo la cosa giusta oggi - possiamo avere una maggioranza per la vita che non abbiamo oggi. Perciò, se sei in un paese dove la maggioranza delle persone è pro-life, adotti una strategia. Ma in paesi dove sei in minoranza, devi fare alleanze. L’ideale è avere una protezione legale per difendere la vita del figlio, e buone politiche per le madri.
Date le differenze tra nazione e nazione, è pratiico costruire una rete per lavorare sulla “riduzione dell’aborto”, quando questa può minare gli sforzi per difendere la vita in alcuni paesi? Certamente abbiamo bisogno di una rete, ma ciò che facciamo all’interno di questa rete è diverso da ciò che possiamo fare nei nostri paesi. Perciò quando io parlo di un network, penso agli sforzi per formare coalizioni al Cairo e a Pechino, dove era necessario essere collegati per poter combattere insieme efficacemente a livello globale. Perciò la battaglia per la vita ha due livelli: uno locale e uno globale. Da una parte abbiamo bisogno di una strategia locale, ma dobbiamo anche ricordare che la questione dell’aborto riguarda l’intera umanità.
Lei è stato amico personale di Giovanni Paolo II. Avete mai parlato insieme della tensione tra pragmatismo e principi nel tentativo di costruire una Cultura della Vita? Sì, certo. Non si può mai sostenere una posizione che è intrinsecamente male. Non si può mai votare per una legge che sacrifica la vita pure di un solo bambino. Puoi invece sostenere una legge che protegge la vita di alcuni bambini, anche quando la protezione non è estesa a tutti. Si salva quelli che si può salvare senza dare l’assenso alla morte di quelli che non puoi salvare. Nella nostra situazione italiana abbiamo un esempio concreto. Alcuni pro-choice erano pronti a votare la nostra risoluzione se noi avessimo chiesto all’ONU di condannare l’aborto forzato e di sostenere l’aborto non-forzato. Noi abbiamo risposto: non possiamo. Così loro non hanno votato a favore ma si sono astenuti.
Tornando alla questione del terreno comune con l’amministrazione Obama, pensa di aver fatto abbastanza per rassicurare i pro-life statunitensi riguardo alla sua intenzione di non abbandonarli? E’ importante chiarire le cose, perché so che è facile sulla stampa cercare di rompere l’unità del movimento pro-life. Certamente voglio parlare in termini amichevoli con l’amministrazione Obama. So che questo è considerata una bestemmia per molti pro-life negli Stati Uniti! Ma d’altra parte voglio essere compreso dai pro-life americani e non voglio rompere l’unità del nostro fronte. Come prima cosa I pro-life americani devono capire che come cittadini statunitensi essi possono parlare liberamente nel loro paese, e hanno il diritto di dire cose che uno straniero non potrebbe dire, men che meno uno straniero che è un politico di un altro paese, uno che sta cercando di avere il sostegno del governo degli Stati Uniti per una importante iniziativa pro-life all’Assemblea generale dell’ONU.
Immagino che lei non voglia rispondere alla domanda se crede che il presidente Obama davvero voglia ridurre il numero degli aborti… Rispondo così: posso solo sperarlo.
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