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inserito il: 7-11-2006
Scienza e ambiente, le parole del Papa

Ecco il testo integrale del discorso pronunciato da papa Benedetto XVI ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, Roma 6 novembre 2006.

 

Eccellenze,

Illustri signore e signori,

è per me un onore salutare i membri della Pontificia Accademia delle Scienze in occasione di questa assemblea plenaria, e ringrazio il professor Nicola Cabibbo per le gentili parole di saluto pronunciate a nome di voi tutti. Il tema del vostro incontro – “Predicibilità nella scienza: attendibilità e limiti” – affronta una caratteristica specifica della scienza moderna. La capacità di fare previsioni, infatti, è una delle principali ragioni di prestigio della scienza nella società contemporanea. L’affermarsi del metodo scientifico ha dato alle scienze la capacità di predire fenomeni, studiarne lo sviluppo, e dunque il controllo sull’ambiente in cui l’uomo vive.

Questo progressivo “avanzare” della scienza, e in particolare la sua capacità di dominare la natura attraverso la tecnologia, è stato talvolta messo in relazione a un corrispondente “ritirarsi” della filosofia, della religione, e persino della fede cristiana. Addirittura, alcuni hanno visto nel progresso della scienza moderna e della tecnologia una delle cause principali della secolarizzazione e del materialismo: perché invocare il controllo di Dio su questi fenomeni quando la scienza si è dimostrata in grado di fare la stessa cosa? Certamente la Chiesa riconosce che “con l’aiuto della scienza e della tecnologia…, l’uomo ha esteso il suo dominio su quasi tutta la natura”, e dunque “oggi ottiene per sua stessa iniziativa vantaggi un tempo richiesti a poteri celesti” (Gaudium et Spes, 33). Al tempo stesso, la cristianità non postula un conflitto inevitabile tra fede soprannaturale e progresso scientifico. Il vero punto di partenza della rivelazione biblica è l’affermazione che Dio ha creato gli esseri umani, li ha dotati di ragione e li ha posti al di sopra di tutte le creature della terra. In questo modo l’uomo è divenuto il custode della creazione e l’“aiutante” di Dio. Se pensiamo, ad esempio, a come la scienza moderna, con la previsione degli fenomeni naturali, ha contribuito alla protezione dell’ambiente, al progresso delle nazioni in via di sviluppo, alla lotta contro le epidemie, alla crescita dell’aspettativa di vita, diventa chiaro che non c’è alcun conflitto tra la divina provvidenza e l’iniziativa umana. Anzi: potremmo dire che l’attività di previsione, controllo e governo della natura, che oggi la scienza rende più praticabile che in passato, rientra essa stessa nel piano del creatore.

La scienza, tuttavia, pur dando con generosità, dà solo quello che può dare. L’uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia così radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare tutto e rispondere pienamente a tutte le sue esigenze esistenziali e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione dando una risposta esaustiva agli interrogativi più radicali dell’uomo: interrogativi sul significato del vivere e del morire, sui valori ultimi e sulla natura del progresso stesso. Per questo motivo il Concilio Vaticano II, dopo aver riconosciuto i benefici ottenuti dal progresso scientifico, ha sottolineato che i “metodi scientifici di ricerca possono essere ingiustificatamente presi a norma suprema per arrivare alla verità” e ha aggiunto che “esiste il pericolo che l’uomo, riponendo eccessiva fiducia nelle attuali scoperte, possa pensare di bastare a se stesso e non ricerchi più i valori più alti” (ibid., 57).

La predicibilità scientifica solleva inoltre la questione delle responsabilità etiche dello scienziato. Le sue conclusioni devono essere guidate dal rispetto della verità e dall’onesto riconoscimento dell’attendibilità e degli inevitabili limiti del metodo scientifico. Certamente questo significa evitare previsioni inutilmente allarmanti quando esse non siano supportate da dati sufficienti o eccedano l’attuale capacità previsionale della scienza. Ma significa anche evitare l’opposto, ossia un silenzio, nato dalla paura, di fronte a problemi reali. L’influenza degli scienziati nel modellare l’opinione pubblica sulla base del loro sapere è troppo importante per essere messa a repentaglio da un’eccessiva fretta o dalla ricerca di una pubblicità superficiale. Come ha osservato una volta il mio predecessore, papa Giovanni Paolo II: “Gli scienziati, proprio perché ‘sanno di più’, sono chiamati a ‘servire di più’. Poiché la libertà di cui godono nella ricerca dà loro accesso a un sapere specialistico, essi hanno la responsabilità di usare saggiamente quel sapere a beneficio dell’intera famiglia umana” (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 11 novembre 2002).

Cari accademici, il nostro mondo continua a guardare a voi e ai vostri colleghi per una chiara comprensione delle possibili conseguenze di molti importanti fenomeni naturali. Penso, ad esempio, alle continue minacce all’ambiente che coinvolgono interi popoli e all’urgente bisogno di scoprire fonti energetiche sicure, alternative e disponibili per tutti. Gli scienziati troveranno il sostegno della Chiesa nei loro sforzi di affrontare queste tematiche, poiché la Chiesa ha ricevuto dal suo divino fondatore il compito di guidare le coscienze delle persone verso il bene, la solidarietà e la pace. Precisamente per tale ragione essa sente il dovere di insistere che la capacità della scienza di prevedere e controllare non deve mai essere impiegata contro la vita umana e la sua dignità, ma sempre posta al suo servizio, al servizio di questa e delle future generazioni.

C’è un’ultima riflessione che l’argomento della vostra assemblea oggi può suggerirci. Come hanno evidenziato alcune relazioni presentate nei giorni scorsi, lo stesso metodo scientifico, nel suo assemblare dati ed elaborarli per realizzare delle proiezioni, ha dei suoi limiti intrinseci che necessariamente riducono ad ambiti e approcci specifici la capacità della scienza di fare previsioni. La scienza non può, dunque, presumere di fornire una rappresentazione completa, deterministica, del nostro futuro e dello sviluppo di ogni fenomeno che essa studia. La filosofia e la teologia possono rappresentare un importante contributo a questa questione fondamentalmente epistemologica, ad esempio aiutando le scienze empiriche a riconoscere una differenza tra l’incapacità della matematica a predire certi eventi e la validità del principio di causalità, o tra indeterminismo scientifico o contingenza (casualità) e causalità a livello filosofico, o più radicalmente tra evoluzione come origine di una successione nello spazio e nel tempo e creazione come origine ultima di esseri partecipati nell’Essere essenziale.

Al tempo stesso, esiste un livello più alto che necessariamente trascende tutte le previsioni scientifiche, ossia il mondo umano della libertà e della storia. Mentre il cosmo fisico può avere il suo sviluppo spazio-temporale, solo l’umanità propriamente intesa ha una storia, la storia della sua libertà. La libertà, come la ragione, è una parte preziosa dell’immagine di Dio in noi, e non può mai essere ridotta ad analisi deterministica. La sua trascendenza di fronte al mondo materiale deve essere riconosciuta e rispettata, poiché è un segno della nostra dignità umana. Negare quella trascendenza nel nome di una supposta capacità assoluta del metodo scientifico di prevedere e condizionare il mondo umano comporterebbe la perdita di quanto è umano nell’uomo e, non riconoscendo la sua unicità e trascendenza, potrebbe aprire pericolosamente la porta al suo sfruttamento.

Cari amici, concludendo queste riflessioni, vi assicuro ancora una volta il mio attento interesse per le attività di questa Pontificia Accademia e le mie preghiere per voi e i vostri familiari. Su tutti voi invoco la benedizione di Dio Onnipotente di saggezza, gioia e pace.