La scorsa settimana, intervistato da Famiglia Cristiana, il Presidente del Consiglio si chiedeva “perché quando vado a Messa il tema dell’evasione fiscale che pure ha una forte carica etica, non è quasi mai toccato nelle omelie?”. In toni analoghi si era espresso tempo addietro il Ministro del Tesoro che aveva paragonato le (elevate) evasioni fiscali ad un furto nei confronti della collettività e parlato di “trasgressione del settimo comandamento”. Mentre si denuncia la gravità dell’evasione però si porta avanti un’azione di governo che la renderebbe moralmente indifferente. Vediamo perché.
Innanzitutto chiediamoci: a cosa servono le tasse? A finanziare la spesa pubblica.. E a cosa serve la spesa pubblica? La risposta a questa domanda è cambiata radicalmente negli ultimi centocinquanta anni. Fino agli ultimi decenni del ‘900 venivano affidati allo Stato i compiti che si riteneva non potessero essere finanziati privatamente: la difesa dalle aggressioni esterne, l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico (non mancano peraltro studiosi che hanno evidenziato come si possano riscontrare nel corso della storia numerosi casi in cui i cosiddetti “beni pubblici” siano stati finanziati per via volontaria e forniti privatamente). Di conseguenza, la spesa pubblica rappresentava una quota minuscola della ricchezza prodotta in un Paese, qualcosa intorno al 10% del PIL.
Un noto economista francese di quei tempi, Paul Leroy-Beaulieu, affrontando il problema della giusta percentuale delle imposte in un’economia, suggeriva che una quota del 5-6% era da considerarsi moderata mentre il 12% era giudicato “esorbitante”. Tale visione, che era stata universalmente accettata per svariati secoli, mutò sul finire del diciannovesimo secolo su influsso dei pensatori marxisti. Per la prima volta si affermò l’idea che, oltre alle normali funzioni, dovesse essere affidato allo Stato anche il compito di ridistribuire la ricchezza dai ricchi ai poveri. Da allora è stata una cavalcata quasi senza sosta che ha visto il progressivo ampliarsi del welfare state, la parallela crescita della spesa pubblica che oggi, in Europa, è intorno al 50% del PIL e l’inevitabile ascesa della pressione fiscale. Ma, se tutti indistintamente beneficiano delle funzioni tradizionali dello Stato e il non pagare le tasse che le finanziano corrisponderebbe a far gravare sugli altri cittadini, implicitamente rubando a costoro, il costo dei servizi di cui si gode, diverso appare, almeno in una prospettiva cristiana, l’ambito della fiscalità correlata alla redistribuzione del reddito che, come detto, oggi risulta essere largamente maggioritaria. La messa in comune dei beni evangelica, infatti, è basata sulla libertà e sulla voce della coscienza e non sulla coercizione. Come ha scritto uno dei maggiori biblisti e teologi protestanti del nostro tempo, Oskar Cullmann, “in Gesù non vi è alcun proposito di riforma politica ed economica” intesa nel senso ideologico moderno. Per il credente, il mondo è un vestibolo, ovvero una anticamera ed il Paradiso o l’Inferno il destino ultimo. Ora, prescindiamo per un momento dal fatto che il trasformare un dovere morale dei ricchi in un diritto dei poveri ha non irrilevanti conseguenze negative in termini di responsabilità personale di tutti i cittadini e contribuisce ad allentare i vincoli di solidarietà famigliare. Lasciamo da parte la constatazione che, al crescere della spesa pubblica, si incrementa più che proporzionalmente quello che gli americani chiamano il tax churning, termine difficilmente traducibile in italiano, che sta ad indicare quei programmi redistributivi che tassano certi ceti sociali per poi restituire loro determinati servizi gratuiti. Dimentichiamoci degli effetti negativi sulla produzione di ricchezza e scordiamoci di tutti gli sprechi. Ammettiamo che la spesa pubblica vada interamente a migliorare le condizioni di chi sta peggio. E chiediamoci: quale valore morale può avere la solidarietà obbligatoria per legge? Se avessi la certezza che il fisco verrà a prendersi domani quanto non sono disposto a cedergli volontariamente ora, quale merito avrei nel versare le tasse? Paradossalmente, è proprio l’inefficienza del fisco nel perseguire gli evasori che conferisce un significato morale al pagamento delle tasse. Ma ciò mal si concilia con i draconiani propositi di lotta all’evasione che sembrano essere al centro dell’azione di governo. |