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inserito il: 1-12-2008
CLIMA, COSI' DISPERATI DA VOLERE LE CATASTROFI
di Maurizio Morabito

C'è probabilmente della disperazione nelle parole di Joe Romm, giornalista, attivista noto nel settore del cambioclimatismo e autore del blog ClimateProgress. E un deciso olezzo di nichilismo, se non desiderio fatto e finito perché nel mondo succedano disastri legati al clima.
 
E’ a questo dunque che si è giunti? Meglio non essere superstiziosi, altrimenti si rischia l’orchite.
 
Romm (il cui libro “Hell and High Water” - “L’Inferno e le Acque Alte”, e’ stato pubblicato per le edizioni William Morrow nel 2006) ha pubblicato alcuni giorni fa un articolo dal titolo "Quali sono le ‘Pearl Harbor climatiche’ nel breve termine?"
 
Riferendosi al "giorno dell’infamia” del 20 dicembre 1941 quando l’attacco giapponese alle Hawaii costrinse un recalcitrante Congresso USA ad entrare in guerra, Romm si è insomma chiesto, quali forti choc potrebbero "indurre in un'azione” di controllo dei cambiamenti climatici, azione “forte abbastanza da farci evitare il peggio”? L'elenco di 9 sciagure comprende fra l’altro: avere l’Artico "senza ghiacci entro il 2020", dei "super-uragani come Katrina", un "caldo così intenso come in Europa nel 2003", e il Quinto Rapporto dell’IPCC nel 2012 (non volesse mai il Cielo che quel Rapporto sia meno catastrofista rispetto al Quarto, pubblicato nel 2007...).
 
Si noti che il blog di Romm è stato ripreso anche su DotEarth, il celebre blog ambientalista del giornalista del New York Times Andrews Revkin, e anche su Climate Feedback, il blog climatico della redazione della prestigiosa rivista Nature. 
 
Una scelta davvero poco saggia, quella di pubblicizzare questa lista di disastri: cosa diranno la maggior parte delle persone quando scopriranno che coloro che si autoproclamano difensori del Pianeta Terra, stanno piu’ o meno sperando che ci capitino catastrofi di ogni genere? Che curioso modo per acquistare immortale...impopolarità! 

Ma perché possiamo dire che Romm è disperato? Perché anch’egli, nonostante sia presumibilmente ben informato sul clima, tira fuori esempi del tutto inappropriati. Katrina nel 2005 è stato un grande uragano, ma non più super-uragano rispetto ad altri uragani (Romm arriva fino a riconoscere questo punto), e la distruzione di New Orleans è ormai accertato essere stata una questione di cattiva progettazione e manutenzione delle dighe, e gestione incompetente dei soccorsi.
 
Possibile che Romm non abbia niente di meglio di cui parlare? Allo stesso modo per la canicola europea del 2003. Di più: né Katrina, né la calura europea, possono essere collegati ai cambiamenti climatici e/o al riscaldamento globale. E quindi se, ad esempio, un altro episodio di caldo estremo si concretizzerà, questo non ci dirà assolutamente nulla su cambiamenti climatici e riscaldamento globale.
In realtà, guardando l'elenco dei 9 “choc” pubblicati da Romm, gli unici che potrebbero fornire munizioni a chi crede nel cambioclimatismo potrebbero essere l’Artico privo di ghiacci, e un’"accelerata perdita di massa in Groenlandia".
 
Molto probabilmente, Romm sta semplicemente e forse inconsapevolmente riconoscendo il fatto che nonostante tutti i loro sforzi, vi è ben poco che i cambioclimatisti siano in grado di mostrare a sostegno delle loro affermazioni. Cominciamo infatti da un’affermazione molto chiara fatta da Revkin (un giornalista che crede nei cambiamenti climatici, ma senza forzature ideologiche) e rivolta a Romm: 

“Come io [Revkin] ho scritto nel 2006, i problemi che ottengono l'attenzione delle persone (e fanno loro cambiare atteggiamento) sono ‘a breve, salienti e certi’ e gli aspetti pericolosi dei cambiamenti climatici forzati dall’uomo non sono niente del genere.”
 
In altre parole, i pericoli tanto decantati dal cambioclimatismo non sono sul punto di accadere, non sono cospicui, e non sono sicuri o inevitabili. E come risponde, Romm? Con molto poco. Anzi, quasi nulla: prima espone una sorta di “umanitario desiderio di morte”, la speranza quasi di una grande crisi climatica; poi si mette a criticare i giornalisti (e chi non lo fa?); e infine si lamenta del fatto che egli capisce cose che la maggior parte delle persone non capisce...
 
“Interventi governativi da centinaia di miliardi di dollari avvengono solo quando vi è una crisi molto, molto grande [...] cosi’ definita da personaggi seri riconosciuti come indipendenti [e per arrivare a ciò,] qualcosa di brutto deve capitare regolarmente a persone comuni proprio adesso [...] Un giornalismo migliore sarebbe d’aiuto. [...] Semplicemente non esiste [al momento] una massa critica di opinionisti credibili e indipendenti che comprendano la natura dei nostri problemi con il clima e l’energia [...]. “
 
Il supremo vertice dell’ironia, nello scambio Romm/Revkin, è comunque quando il primo non afferra il concetto di “certezza” come spiegato dal secondo. Nel 2006, Revkin ha osservato che:
“Le proiezioni di come la siccità, le alluvioni, le ondate di calore e di freddo potrebbero manifestarsi sono tra le più difficili, e rimarranno cariche di grandi incertezze per molto tempo nel futuro [...] Mentre gli scienziati dicono di non avere prove solide che permettano di collegare i fenomeni metereologici recenti alla influenza umana sul clima, gli attivisti ambientalisti continuano a premere su quel concetto [...]“.
 
E la risposta di Romm?
“Tu [Revkin] questo lo capisci, ma non lo dici ai tuoi lettori: Non fare nulla o fare poco elimina l'incertezza“.
 
Le “grandi incertezze” giustamente indicate da Revkin, per Romm non esistono nemmeno, anzi è il momento per un’altra accusa contro Revkin. E’, questo, un atteggiamento scientificamente valido? E la lista delle ‘Pearl Harbor climatiche’ di Romm, non sembra proprio un modo per “premere” sul concetto anti-scientifico del collegamento fra fenomeni metereologici recenti e la influenza umana sul clima?

Quanto sopra è decisamente poco promettente per i fautori del cambioclimatismo. C’è quasi da pensare che il problema sia nel fatto che tanti fra loro non hanno capito fino in fondo la natura del problema. Cercano di utilizzare gli strumenti di lotta e impegno che hanno imparato quando c’era da proteggere i panda o ripulire il fiume Hudson.
 
E quindi falliscono, dal punto di vista pratico: perché, come ha realizzato Revkin, il Riscaldamento Globale di Origine Antropica, pseudonimo per il “cambiamento climatico”, è davvero qualcosa di completamente diverso: né a breve, né saliente, né certo.
Vistisi perduti, dunque, c’è poco da meravigliarsi se tanti fra i cambioclimatisti abbiano deciso di agire politicamente invece che tramite la scienza, e non perdano occasione per cercare di spaventare e costringere invece che persuadere.