Forse i dati che illustrano più chiaramente l’enormità del divario di condizioni di vita nel mondo sono quelli relativi alla mortalità materna e infantile.
Dal Rapporto Unicef 2009 sulla condizione dell’infanzia nel mondo, presentato il 15 gennaio a Roma nella versione italiana e quest’anno dedicato alla salute materna e neonatale, risulta che nei paesi industrializzati rischia di morire di parto una donna su 8.000 e in quelli in via di sviluppo una su 76. La sorte peggiore tocca alle donne nate in Niger, Africa, dove è in pericolo una donna su 7. Il paese più sicuro invece è la Norvegia, dove a rischiare è una donna ogni 47.600.
Il tasso di mortalità materna, vale a dire il numero di donne che muoiono per cause riconducibili alla gravidanza e al parto ogni 100.000 bambini nati vivi, va dalla media di 8 nei paesi industrializzati a quella di 450 nei paesi in via di sviluppo. Il primato negativo è detenuto da un altro Stato africano, la Sierra Leone, con un tasso di 2.100.
Inoltre per ogni madre che muore dando alla luce un figlio, altre 20 sopravvivono colpite però da malattie o disfunzioni anche permanenti dovute alla gravidanza e al parto, per un totale di circa dieci milioni ogni anno.
Altrettanto drammatiche sono le cifre relative alla mortalità neonatale. Anche in questo caso, il divario tra paesi poveri e industrializzati è immenso: in media un bambino nato in un paese povero ha una probabilità di morire entro il primi 28 giorni di vita 14 volte superiore a quella di un bambino nato in un paese industrializzato. Benché sia scesa del 27% dal 1990 al 2007, nei paesi non industralizzati la mortalità entro i primi cinque anni di vita e in particolare quella neonatale restano elevate. Circa 4 milioni di neonati ogni anno muoiono entro 28 giorni dalla nascita; il 40% delle morti sotto i cinque anni avviene nel primo mese dopo la nascita, tre quarti durante la prima settimana.
Secondo il rapporto Unicef, è in Asia e Africa che si verificano il 95% delle morti materne e il 90% di quelle infantili. In entrambi i continenti la prima causa è data dalla scarsa o nulla assistenza sanitaria: ancora troppe madri – per mancanza di risorse economiche e di servizi pubblici – partoriscono senza l’aiuto di personale qualificato, non ricevono cure durante la gravidanza e non eseguono visite post natali. Se tutte le donne avessero accesso ai servizi essenziali di maternità, si calcola che circa l’80% dei decessi dovuti alla gravidanza e al parto sarebbero evitati.
Aggravano la situazione le carenze igieniche, un’alimentazione inadeguata, delle insalubri condizioni abitative e lavorative.
Altri fattori che compromettono la salute delle donne, e trasformano la maternità in un calvario, sono le gravidanze precoci, conseguenza dei matrimoni infantili imposti ogni anno a centinaia di migliaia di bambine: le madri di età inferiore a 15 anni hanno probabilità di morire di parto cinque volte superiori a quelle che partoriscono dopo aver compiuto 20 anni.
Va considerata inoltre l’incidenza delle mutilazioni genitali femminili, di cui pagano le conseguenze circa 130 milioni di donne escisse o infibulate e che ogni anno vengono inflitte a circa due milioni di bambine e adolescenti.
Per finire, l’Unicef punta l’indice sulla mancanza di istruzione che innesca un circolo vizioso di marginalità, discriminazioni e povertà responsabili a loro volta degli alti tassi di mortalità materna e infantile. Nel presentare il rapporto 2009 l’agenzia delle Nazioni Unite evidenzia che, insieme all’accesso ai servizi sanitari, l’istruzione delle bambine e delle ragazze è uno dei mezzi più potenti per evitare la trappola della povertà e creare un ambiente di sostegno per la salute materna e neonatale.
Alla luce di queste affermazioni, destano grave allarme le recenti notizie provenienti da alcuni paesi nei quali l’istruzione femminile già carente registra arretramenti dovuti a violente campagne di condanna lanciate da gruppi integralisti islamici favoriti dall’influenza delle tradizioni tribali. In particolare va segnalata la situazione determinatasi in alcune regioni dell’Afghanistan e del Pakistan nelle quali centinaia di scuole femminili sono state costrette a sospendere le lezioni temendo per la sicurezza di allieve e insegnanti. In Pakistan, nella sola valle della Swat, al confine con l’Afghanistan, 400 scuole private hanno deciso di prolungare almeno fino all’inizio di marzo le vacanze invernali, lasciando a casa oltre 80.000 studentesse, dopo gli attentati che il 19 gennaio hanno fatto esplodere cinque edifici scolastici. A Kandahar, in Afghanistan, per le strade e nelle moschee sono stati affissi nei mesi scorsi manifesti con su scritto “non mandare le tue figlie a scuola” e in tutto il paese sono già stati incendiati centinaia di istituti femminili.
Afghanistan e Pakistan figurano tra i 10 paesi con i tassi di mortalità neonatale più alti e l’Afghanistan compare al secondo posto dopo il Niger nell’indice di mortalità materna. Proprio in Afghanistan è stato rilevato dall’Unicef che circa i tre quarti dei bambini nati da madri decedute in seguito al parto non superano i primi mesi di vita. |