Povere ostriche, sono anni che gliene capitano di tutti i colori. L'ultima notizia che le riguarda, lanciata anche dalle agenzie italiane nei giorni intorno a Capodanno, quando delle ostriche si sente più che mai la necessità, è quella della loro possibile scomparsa dalle acque bretoni, da dove di solito arrivano anche sulle tavole dei nostri cenoni. Una "misteriosa malattia" – così l'ha definita Le Monde –, forse favorita dal riscaldamento delle acque, ha fatto crollare di circa l'80% la produzione di ostriche francesi (con 120.000 tonnellate l'anno, la Francia è la prima produttrice europea di ostriche e la quarta nel mondo). Di qui, ritorno alla ribalta della minaccia global warming e conseguenti cosmiche profezie di sventura. Considerate un cibo prelibato e prezioso fin dall'antichità (da Cicerone a Casanova, per motivi diversi, molti grandi della storia non potevano farne a meno), le ostriche sono da sempre sotto i riflettori. Anche solo negli anni recenti sono state più volte condannate e poi riabilitate, trascinate nella polvere e riportate sugli altari. Nel giugno 2005 la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia americana per gli alimenti e i farmaci, rese noto il rischio di contrarre la setticemia da un batterio, il Vibrio vulnificus, che si può trovare nelle acque calde costiere, come quelle del Golfo del Messico, e che trova un habitat particolarmente adatto alla propria sopravvivenza nelle ostriche. La notizia rimbalzò in tutto il mondo e in molti, anche da noi, decisero che da quel momento con le ostriche era meglio chiudere ogni rapporto.
Nel 2006, in Francia, le autorità sanitarie proibirono la raccolta e la vendita di ostriche nel bacino di Arcachon, a sud di Bordeaux, in seguito alla morte di due persone. Il Corriere della sera.it del 10 settembre riportava così la notizia: "È forte il sospetto che la causa del decesso sia collegata a un misterioso virus che ha colpito le colture della zona dallo scorso agosto". Tra le cause a cui ricondurre la proliferazione del misterioso virus, "la dispersione sulle rive di fosfati e nitrati dalle vicine produzioni agricole", ma anche "la temperatura più calda del mare rispetto agli allevamenti della costa nordica e le acque basse del bacino".
L'acqua calda. Si torna sempre qui. Anche il Tricheco e il Carpentiere di Lewis Carrol, in attesa di sbafarsi qualche dozzina di ostrichette (si legga il IV capitolo di Alice attraverso lo specchio) intavolano chiacchiere "su cavoli… reali… sul perché sia bollente il mar… e i porci abbian le ali". Ciò a dimostrare che ostriche e riscaldamento delle acque tornano spesso negli stessi discorsi. I quali però, altrettanto spesso, sono anche molto vaghi, o quantomeno si portano appresso qualche luogo comune. Notizie più recenti: il 14 luglio 2008, laStampa.it annuncia la minaccia per i preziosi molluschi di "nuovi batteri lungo le coste del Pacifico".
Tra San Francisco e Los Angeles, dove l'allevamento di ostriche è molto diffuso, "un'improvvisa ondata di batteri (il ceppo in questo caso è quello del Vibrio Tubiashii) ha ucciso miliardi di larve". Nel riportare che "la moltiplicazione del batterio è collegata all'aumento delle temperature dell'acqua", l'autore dell'articolo scrive anche: "I ricercatori non hanno mostrato stupore nel trovare questi batteri in mare, ma sono stati colpiti dal fatto che stia diventando un fenomeno dominante rispetto ad altri microbi".
Allora sarà proprio il riscaldamento delle acque a far proliferare i batteri che attaccano le ostriche? Non sarebbe forse il caso di battere altre strade oltre a quella del global warming? Il dubbio si fa prepotente leggendo una notizia degli stessi giorni, pubblicata da Time.com: in attesa di sperimentare le ostriche sterili da laboratorio (se ne produce quante se ne vuole), non c'è da preoccuparsi della morìa d'ostriche bretoni, perché il mercato cinese, quello giapponese e quello sud coreano sono in ottima salute. Sulle coste di quei Paesi, a quanto pare, il riscaldamento delle acque ha effetti diversi. |