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inserito il: 6-7-2009
L'UGANDA CONTRO LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI
di Anna Bono
Di solito i leader politici africani si mostrano a dir poco distratti in materia di tutela dei diritti umani e anzi molti, come è ben noto, li violano sistematicamente approfittando del potere di cui dispongono.

Tutti inoltre si rendono perfettamente conto che, promuovendo con rigore i diritti umani, creerebbero ulteriori motivi di risentimento nei loro connazionali, già scontenti di essere vessati da corruzione e malgoverno e di essere lasciati pressoché da soli ad affrontare carestie, conflitti armati e malattie. Infatti in Africa alcune, gravissime violazioni dei diritti umani si devono a istituzioni tribali che molti africani tuttora intendono rispettare e far rispettare: tra le più diffuse, il matrimonio combinato e forzato, il prezzo della sposa, il matrimonio e il lavoro infantili, la poliginia, le mutilazioni genitali femminili, la circoncisione maschile rituale.

È quindi una buona notizia, da accogliere con piena approvazione, l’annuncio del presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, di voler seriamente contrastare la più atroce delle istituzioni tradizionali, le mutilazioni genitali femminili, inflitte ogni anno a circa due milioni di bambine, in prevalenza africane, così come sono in gran parte africane le donne mutilate viventi: secondo l’Oms, in totale circa 130 milioni.

Il parlamento ugandese si appresta a discutere un progetto di legge inteso a inasprire le sanzioni per chi pratica e impone le mutilazioni genitali femminili. Il testo della legge, presentato lo scorso febbraio da Dora Byamukama, direttore dell’Ufficio per i diritti e le richieste delle donne, e sostenuto da un gruppo di donne parlamentari guidate da Margaret Baba Diri, ha però già suscitato vivaci reazioni. Portavoce di chi si oppone all’iniziativa è Agnes Suuto, esponente di una delle etnie che praticano l’infibulazione, i pastori Sabiny della regione settentrionale della Karamoja.

“Questa pratica è la peggiore forma di violenza riservata alle donne – sostiene Margaret Baba Diri – è brutale e dolorosa, bisogna mettervi fine”. “È la nostra cultura e noi la perpetueremo – replica Agnes Suuto – molte di noi che l’hanno subita non rimpiangono nulla. Tante ragazze che l’hanno rifiutata, chiedono adesso segretamente di esservi sottoposte”.

È evidente che se pure, come sembra molto probabile, il parlamento approverà la nuova legge, la vera battaglia sarà convincere la popolazione ad abbandonare una tradizione così radicata. Il presidente Museveni mostra di esserne del tutto consapevole. Alcuni giorni or sono, durante una cerimonia svoltasi in una scuola secondaria della Karamoja, ha dichiarato: “Io sostengo la cultura, come dimostra la mia decisione di ripristinare i regni tradizionali, ma la cultura va difesa solo quando è utile”. Inoltre Museveni, che era accompagnato dalla moglie Janet, in qualità di Ministro per gli affari della Karamoja, e dalla vicepresidente del parlamento, Rebecca Kadaga, ha usato un argomento che potrebbe convincere anche chi teme di violare le tradizioni prescritte dagli antenati fondatori: “Siete stati voi a fare la donna così come è fatta? Se Dio l’ha creata in questo modo, chi siete voi per distruggere il suo lavoro?”.