La violenza delle reazioni contro il Pontefice per una sua breve e del tutto ovvia affermazione sull’AIDS – ‘in Africa per combatterlo occorre umanizzare la sessualità, il preservativo non basta e può perfino far danno’ – suscita un allarmante interrogativo sulla reale capacità di far fronte all’epidemia da parte di tanti che se ne incaricano per conto e in nome della comunità internazionale.
Vi è il rischio concreto che molti uomini politici e molti operatori umanitari siano stati influenzati da certe fuorvianti campagne contro l’AIDS degli scorsi anni sostanzialmente intese a incolpare della diffusione dell’epidemia nei paesi in via di sviluppo le case farmaceutiche e l’Occidente, per avidità le prime e per indifferenza il secondo, cinicamente disposto, così si dice, a sperperare milioni di euro in gelati o in creme di bellezza – è un esempio molto usato dalla propaganda antioccidentale – piuttosto che rifornire gli ambulatori africani dei medicinali necessari.
Siccome di AIDS non si guarisce, il suo dilagare in Africa è evidentemente il risultato non di scarsità di farmaci, bensì di una mancata o fallita opera di prevenzione volta a contenere i contagi. Come dimostrano i dati statistici, l’impiego di profilattici è soltanto uno degli strumenti utili allo scopo e inoltre la sua efficacia dipende, oltre che dalle condizioni in cui viene usato, dalla concomitanza di un generale atteggiamento responsabile che richiede, per essere adottato, informazioni esaurienti e salde motivazioni fondate sul rispetto della persona umana.
Al di là di ciò, è davvero un peccato che, nell’ansia di smentire il Pontefice, nessuno a quanto pare abbia rilevato l’importanza e l’urgenza, a prescindere dall’AIDS, della sua esortazione a “umanizzare la sessualità” e che nessuno abbia colto l’occasione per lanciare magari una campagna di contrasto a un problema che in realtà trascende il contesto africano essendo di portata planetaria.
Decine di milioni di persone al mondo, per gran parte donne e bambini di entrambi i sessi, subiscono infatti ogni giorno violenze fisiche e morali legate a pratiche sessuali irrispettose della dignità umana. Né si tratta soltanto delle innumerevoli vittime di stupri e abusi sessuali che le leggi e la morale condannano. Ancora più diffuse sono le forme di violenza legittime e accettate, quando non prescritte, inflitte a persone che proprio per questo non hanno quasi mai via di scampo.
Il caso più recente di cui tutto il mondo ha parlato nei giorni scorsi, è il tentativo, per il momento fallito in seguito alle proteste internazionali, di introdurre in Afghanistan una legge che consenta ai mariti di avere rapporti sessuali con le mogli a loro discrezione: in sostanza, una legalizzazione dello stupro. Lo scandalo di una simile proposta è ancora maggiore se si considera l’elevata percentuale di spose bambine e adolescenti costrette, o “convinte”, al matrimonio persino con degli sconosciuti scelti e imposti dai genitori.
I matrimoni infantili, una vera e propria forma di pedofilia istituzionalizzata, sono d’altra parte tollerati in numerosi stati asiatici e africani e in certi casi sono contemplati dalla legge stessa. In Iran, ad esempio, la riduzione a nove anni dell’età minima per il matrimonio di una donna fu una delle prime disposizioni del regime degli ayatollah dopo la conquista del potere nel 1979: la legge è tuttora in vigore così come quella che ammette il matrimonio temporaneo a condizione che non duri più di 99 anni e meno di 15 minuti.
Il diritto di scegliere i coniugi dei propri figli e di sposarli a persone che vedono per la prima volta il giorno delle nozze è tuttora quasi indiscusso in molti ambienti sociali, soprattutto nelle aree rurali dove prevalgono pratiche tribali.
Anche in Africa i matrimoni precoci decidono il destino di centinaia di migliaia di bambine ogni anno con conseguenze tutte negative, a incominciare dall’abbandono scolastico e dall’immediato susseguirsi di gravidanze per le quali gli organismi immaturi delle giovanissime spose non sono pronti. Come in Asia, inoltre, permane, ampiamente praticata, l’istituzione del matrimonio combinato e forzato, retaggio di tradizioni tribali proprie delle società patriarcali e gerontocratiche dedite ad economie di sussistenza.
Il primo indispensabile passo per umanizzare la sessualità è quindi l’affermazione del principio della libertà per ogni persona di decidere se e quando formare una famiglia e di scegliere con chi farlo avendo avuto modo di conoscere e apprezzare indole, doti e progetti di vita del futuro partner. Questo comporta non solo l’abbandono dell’istituzione tradizionale del matrimonio combinato ed eventualmente forzato, ma anche del prezzo della sposa e della dote e, naturalmente, di istituzioni quali le mutilazioni genitali femminili. |