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inserito il: 30-3-2009
AFRICA, PIU' CATTOLICI MENO AIDS
di Riccardo Cascioli

L’ultima in ordine di tempo è stata la prestigiosa rivista medica britannica The Lancet, che – a proposito dell’efficacia del preservativo nella prevenzione dell’Aids - in un editoriale diffuso il 27 marzo ha duramente attaccato il Papa accusandolo di «falsità scientifiche» che potrebbero avere «conseguenze devastanti per la salute di milioni di persone». Anche se colpisce la virulenza dell’attacco da parte di una rivista che pure, in passato, ha ospitato studi e analisi che avanzavano dubbi sul preservativo come «soluzione» all’Aids, l’argomento non è certo nuovo e in queste settimane è stato sbandierato ripetutamente da scienziati, politici, capi di governo.

Del resto, già nell’aprile 2005 sulle colonne del giornale britannico The Guardian si leggeva che «con il suo divieto del preservativo, la Chiesa sta provocando milioni di morti nelle zone dominate dai missionari, in Africa e nel resto del mondo». Come sempre, però, chi lancia queste accuse omette di portare esempi concreti a sostegno di questa tesi.

Eppure dovrebbe essere abbastanza semplice verificarne l’esattezza: siccome la presenza dei cattolici nei Paesi africani varia molto da Paese a Paese, e altrettanto varia è la diffusione dell’Aids, se certe accuse fossero vere si dovrebbe riscontrare una più alta prevalenza dell’infezione nei Paesi dove maggiore è la presenza cattolica. Come la tabella pubblicata qui sotto dimostra efficacemente, però, non solo tale relazione è smentita dalla realtà, ma addirittura si nota come a un’alta percentuale di cattolici nel Paese si associ un più basso tasso di infezioni.

Paese          Tasso infezioni HIV            Percentuale cattolici
                        su popol. 15-49 anni*          nella popolazione**
 

Swaziland                26,1                                 5,56
Botswana                 23,9                                 4,78
Sudafrica                 18,1                                 6,36
Zimbabwe                15,3                                 8,79
Namibia                   15,3                               16,78
Zambia                    15,2                               28,22
Mozambico               12,5                               22,33
Uganda                     5,4                               42,28
Ruanda                     2,8                                47,92
Congo                       3,5                               50,49
Angola                      2,1                                50,04
Burundi                     2,0                                65,25
Guinea Equatoriale      3,4                               93,52 


La presenza cattolica non è l’unico fattore che mantiene bassa la diffusione dell’Aids (fenomeno che si riscontra anche in alcuni Paesi a maggioranza islamica, senza contare il contributo di altri fattori sociali, culturali ed economici), ma certamente nel suo insieme i dati reali dimostrano che laddove si vive un’esperienza di Chiesa si hanno conseguenze positive anche nella lotta all’Aids. Un fatto che è stato riconosciuto anche dall’UNAIDS (l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della lotta a questa epidemia) che infatti dal 1999 ha voluto siglare un memorandum d’intesa con Caritas Internationalis – tuttora in vigore -, riconoscendo l’efficacia del lavoro della Chiesa nel «promuovere la consapevolezza del problema, soprattutto tra i giovani, nella prevenzione di nuove infezioni, sostenere i diritti di coloro che sono malati, promuovere l’accesso all’assistenza e alle terapie, eliminare le discriminazioni contro i malati a tutti i livelli della società».
In altre parole, l’UNAIDS riconosce già da tempo l’efficacia del lavoro educativo e sanitario delle organizzazioni cattoliche. In effetti, i motivi dell’influenza positiva della Chiesa nella prevenzione dell’Aids vanno ben oltre la tendenza dei cattolici nel seguire gli insegnamenti morali del magistero. Gli strumenti principali con cui si manifesta l’attenzione all’integralità e alla dignità della persona umana caratteristica dell’esperienza cattolica, sono infatti il lavoro educativo e sanitario, servizi che sono aperti a tutti, cattolici e non.

Non a caso la stessa UNAIDS riconosce che nel mondo il 26% delle strutture sanitarie sono gestite da organizzazioni cattoliche. E nell’Uganda spesso citata a modello nella lotta all’Aids (è l’unico Paese ad avere registrato un calo nel tasso di infezioni da Hiv grazie ai programmi che puntano sull’astinenza e sulla fedeltà coniugale), le organizzazioni cattoliche gestiscono 27 ospedali (un quarto del totale), 220 unità sanitarie di primo livello e 12 scuole infermieri, mantenendo – secondo il Journal of Medicine and the Person - «un ruolo decisivo nell’erogazione sia dei servizi di base che di alta specializzazione tramandando un prezioso ethos professionale e una cultura di servizio».

Non basta, perché – come ha spiegato tempo fa a SVIPOP il dottor Giuliano Rizzardini, che vanta una lunga esperienza in Africa nella lotta all’Aids – il punto di forza della Chiesa sta nella «presenza»: «C’è una concezione in Occidente – diceva Rizzardini – per cui, ad esempio,  si mandano i farmaci e tutto si risolve. Invece non è così. Le terapie farmacologiche funzionano se sono all’interno di un contesto educativo, che come condizione ha la presenza. E’ per questo che la rete dei missionari coglie successi anche dal punto di vista sanitario». 

* Fonte: 2008 Report on the Global Aids Epidemic , UNAIDS, 2007 Estimates
** Fonte: Catholic Hierarchy, basato su dati dell’Annuario Pontificio riferiti al 2005.