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inserito il: 2-4-2007
"Cambiare sesso รจ un diritto umano". L'ONU ci prova
di Riccardo Cascioli
Cambiare sesso è un diritto umano? Non c’è alcun documento internazionale che giustifichi questa pretesa, ma questo è ciò che sostiene un gruppo di esperti delle Nazioni Unite in fatto di diritti umani. E lo hanno messo nero su bianco con un nuovo documento, “I Princìpi di Yogyakarta”, che – con la partecipazione delle più importanti organizzazioni radicali gay e lesbiche - è stato presentato il 26 marzo a Ginevra durante lo svolgimento del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.

Il documento si configura come un nuovo tentativo di piegare il diritto internazionale al programma dei gruppi più radicali, che vogliono includere le operazioni di cambiamento di sesso e la libera espressione sessuale dei bambini tra i diritti umani riconosciuti.
I “Princìpi di Yogyakarta” analizzano 29 diritti già vincolanti nel diritto internazionale – come il diritto alla vita, all’educazione e alla libertà dalla tortura – reinterpretandoli uno ad uno in chiave omosessuale. Il criterio di fondo è che “la legge internazionale sui diritti umani  impone un’assoluta proibizione di discriminazione riguardo al pieno godimento di tutti i diritti umani”, per cui tutti gli Stati sarebbero legalmente obbligati a cambiare le loro Costituzioni e Codici penali per poter includere i diritti omosessuali.

Secondo questo documento dovrebbero essero cambiati anche i programmi scolastici, anche facilitando “l’accesso” per coloro che vogliono cambiare sesso, ma soprattutto insegnando la totale normalità di ogni orientamento sessuale e identità di genere. I Princìpi affermano inoltre “il diritto a esprimere l’identità e la personalità anche attraverso il modo di parlare e di vestire, le caratteristiche del corpo, la scelta del nome o qualsiasi altro mezzo”, e anche “il diritto a trovare una famiglia, compreso attraverso l’accesso all’adozione o alla procreazione assistita”. Per quanto poi riguarda il diritto alla protezione dagli abusi medici, i giuristi chiedono, tra l’altro la proibizione di ogni “trattamento o consulenza psicologica o medica che consideri – implicitamente o esplicitamente – l’orientamento sessuale e l’identità di genere come condizioni mediche da trattare, curare o sopprimere”.

Nel Preambolo si ricorda che per “orientamento sessuale” si deve intendere “la capacità di ogni persona per una profonda attrazione emotiva, affettiva e sessuale - e di relazioni intime e sessuali – verso individui di diverso genere o dello stesso genere o di più di un genere”. mentre per “identità di genere” ci si rifersice alla “profonda esperienza di genere interna e individuale di ciascuna persona, che può o non può coincidere con il sesso assegnato alla nascita, incluso il senso personale del corpo (che può includere, se liberamente scelto, la modificazione dell’apparenza o della funzione del corpo attraverso mezzi medici, chirurgici e altro) e altre espressioni di genere, incluso il vestire, il parlare e modi di comportarsi”.

Un fatto che ha provocato polemiche è la firma dei 29 esperti in calce ai Princìpi di Yogyakarta. Undici di loro infatti sono relatori speciali dell’ONU o membri di commissioni ONU incaricate di monitorare il rispetto dei trattati: “In questo modo essi hanno tradito i requisiti di imparzialità e indipendenza richiesti dal loro incarico”, ha dichiarato una fonte del Catholic Family and Human Rights Institute (CFHRI), organizzazione non governativa che monitora le politiche su vita e famiglia alle Nazioni Unite. Firma eccellente è poi quella dell’ex Alto Commissario ONU per i Diritti Umani nonché ex presidente della repubblica irlandese Mary Robinson.

Riguardo ai contenuti, lo stesso CFHRI fa notare che il tentativo di equiparare l’orientamento sessuale e l’identità di genere ad altre categorie “discriminanti” già stabilite, come età, razza e religione “è una minaccia alla libertà di parola e alla libertà religiosa per ogni individuo, organizzazione o istituzione che presenti una concezione tradizionale del matrimonio e della famiglia”. Peraltro il termine “orientamento sessuale” non è mai stato incluso finora in un documento vincolante dell’Onu come clausola di non discriminazione. Allo stesso modo “diritti sessuali” e “identità di genere” non sono mai stati inclusi in un documento vincolante dell’ONU né definiti dall’Assemblea Generale dell’ONU.