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inserito il: 4-9-2007
La realtà non è d'accordo con Sartori
di Francesco Ramella

Bisogna riconoscere che lui ce la mette proprio tutta. Da qualche tempo, sul Corriere, appare con regolarità un suo editoriale nel quale cerca di mettere in guardia i lettori dalla imminente catastrofe ambientale. Ma non c’è niente da fare. Loro, soprattutto i più giovani, non lo ascoltano; per usare le sue poco eleganti ma efficaci parole: “se ne sbattono, non gliene frega niente”.

Stiamo parlando di Giovanni Sartori che a Ferragosto ha lanciato il suo ultimo grido d’allarme, scrivendo che “l’evidenza scientifica sul collasso ecologico è ormai schiacciante”. Ora, può darsi che i lettori agostani pensino più a divertirsi che non a riflettere sulle sorti del pianeta, però non sembra che il politologo fiorentino porti argomenti così convincenti da farli sobbalzare sotto l’ombrellone. In sintesi, nell’articolo si ritrova la solita tesi maltusiana che vede la popolazione crescere più velocemente della ricchezza prodotta e uno stock di risorse disponibili fisso e destinato quindi ad esaurirsi in breve tempo, tesi che continua ad essere ripetuta nonostante ormai due secoli di evidenza empirica di segno opposto: una crescita della popolazione senza precedenti e, contemporaneamente, uno straordinario sviluppo economico senza che alcuna risorsa si sia esaurita.

L’unico elemento di novità rispetto allo schema originale di duecento anni fa è il tema dell’effetto serra. Sartori scrive che il trend di riscaldamento del pianeta è indiscutibile e che, a dispetto di quanto sostengono pochi scettici, “la Terra si sta riscaldando più velocemente del previsto”. Non è del tutto chiaro a quali previsioni si faccia riferimento. Certo, non possono essere gli scenari più allarmistici diffusi dall’IPCC (l’organismo dell’ONU che si occupa di cambiamenti climatici), quelli che prevedono un innalzamento della temperatura di 4 o 5 gradi entro la fine del secolo e che sono regolarmente i più citati sui mezzi di informazione.

Dopo una prima fase di riscaldamento tra il 1910 ed il 1940, la temperatura media della Terra è diminuita nei successivi 35 anni per poi cominciare a risalire. Il riscaldamento negli ultimi cento anni è stato inferiore ad un grado e, anche prendendo in considerazione solo gli ultimi trent’anni, il trend di aumento della temperatura media è intorno ai 0,15 °C per decade, ossia un grado e mezzo nel corso di un secolo. Tale valore è allineato con le previsioni più “tiepide” dell’IPCC che, quindi,  pecca semmai per allarmismo.

Priva di ogni fondamento scientifico risulta poi essere l’affermazione sartoriana secondo la quale “la catastrofe ecologica andrà a rendere invivibile la vita anche all’uomo”. Le stime relative all’impatto del riscaldamento globale variano tra una riduzione della ricchezza mondiale di un paio di punti percentuali alla fine del secolo (si raggiungerebbe nel 2101 il livello di ricchezza che, in assenza di mutamenti climatici, sarebbe conseguito nel 2001) ed una diminuzione del 20% come indicato nel documento più pessimistico finora pubblicato, il rapporto Stern. Non bisogna però dimenticare che si tratta di una riduzione non in valore assoluto – il che implicherebbe un peggioramento rispetto alla situazione odierna – ma anch’essa riferita ad uno scenario tendenziale, ossia una diminuzione del reddito rispetto a quanto accadrebbe in assenza di effetti negativi causati dal riscaldamento globale. La differenza è sostanziale.

Tra il 1900 ed il 2000 la ricchezza prodotta a scala mondiale è aumentata di ben diciannove volte. Ora, assumendo prudenzialmente che il tasso di crescita nel XXI secolo si riduca di un terzo rispetto al secolo passato (2% contro 3%), i nostri pronipoti tra cent’anni saranno “solo” sette volte più ricchi di noi: la ricchezza media di un italiano, ad esempio, passerebbe dagli attuali 25mila a 175mila Euro per anno.

La temperatura, il clima ed i suoi cambiamenti hanno un impatto molto limitato in termini di benessere di una popolazione. Norvegia e California godono di livelli di reddito e di prosperità analoghi pur in presenza di climi radicalmente diversi. Al contrario, le condizioni di vita di Israele e Palestina che condividono lo stesso ambiente non sono nemmeno lontanamente paragonabili.

Ed il fatto che oggi la temperatura media sulla Terra sia più elevata di un grado rispetto a cento anni fa ha avuto un impatto del tutto marginale in termini di miglioramento delle condizioni di vita; anche ammettendo che il cambiamento del clima sia interamente attribuibile all’uomo e che le conseguenze di tale evoluzione siano state solo negative, possiamo dire senza dubbio che valeva la pena di pagare questo prezzo. Anche perché la crescita della ricchezza disponibile ha portato con sé un significativo miglioramento di numerose componenti ambientali a cominciare dalla qualità dell’acqua e dell’aria che, dopo un iniziale peggioramento, ha conosciuto uno straordinario progresso e, nei paesi occidentali, è oggi migliore rispetto alla situazione esistente prima dello sviluppo industriale.

Ma, se le condizioni di vita sono debolmente influenzate dal clima, vi è, in particolare nelle prime fasi di sviluppo, una forte correlazione fra crescita del reddito e mi­glio­ramento delle con­dizioni di alimentazione e di quelle sa­nitarie. Con lo svi­luppo economico si riduce il tasso di mor­talità infantile e si al­lunga la speranza di vita.

E’ questa la ragione per cui il piano di riduzione delle emissioni previsto dal protocollo di Kyoto non supera la prova di una seria analisi costi-benefici: le (potenziali) ricadute positive ambientali sono infatti di entità più limitata rispetto all’impatto negativo in termini di crescita economica.

Per lo stesso motivo, le risorse destinate alla mitigazione dei cambiamenti climatici potrebbero essere assai più efficacemente spese per rendere disponibile a gran parte  dell’umanità acqua potabile in quantità sufficiente e per combattere la malnutrizione riducendo così ulteriormente le morti per fame e per sete, problemi per i quali Sartori non ha proposta migliore che quella di ridurre il numero di nascite: invece di renderla pulita, insieme all’acqua sporca buttiamo via anche i bambini.