Area geografica
Chiave di ricerca
Home
Ambiente
Sviluppo
Popolazione
 
Chi siamo
Dossier
Documenti
Associazioni
Contatti
 
Iscriviti alla newsletter
 
Che tempo farà
 
 
Versione Stampabile
inserito il: 12-10-2007
IPCC, quando la non-scienza vince un Nobel
di Fabrizio Proietti
E’ conosciuta come la più autorevole assise di scienziati del clima, il giudice inappellabile di ogni teoria sui cambiamenti climatici. Ma in realtà l’IPPC (Intergovernmental Panel on Climate Change), la commissione di esperti dell’ONU, somiglia molto più ai vecchi comitati sovietici in cui il lavoro degli scienziati è posto al servizio dell’ideologia di stato.

E’ così fin dal suo inizio, nel 1988, quando nasce da una costola dell’Organizzazione Meteorologica mondiale (WMO) per volere del Programma ONU per l’Ambiente (UNEP). La spinta e l’impronta decisiva veniva dal Rapporto della Commissione Brundtland pubblicato nel 1987, che sanciva la svolta ecologista dell’ONU in senso anti-umano, ovvero indicando nella popolazione la causa dei problemi ambientali.

L’inizio dell’IPCC è però in sordina: il Primo Rapporto, pubblicato nel 1990, è stilato da un gruppo di scienziati piuttosto eterogeneo e si occupa soprattutto di come catturare e immagazzinare l’anidride carbonica. Equilibrato anche il gruppo di scienziati che lavora al Secondo Rapporto, approvato nel dicembre 1995, ma ecco, improvvisa, la svolta: l’autore principale del rapporto, B.D. Santor, e il responsabile del gruppo di lavoro, John Houghton, con il beneplacito del segretario della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (da cui il Protocollo di Kyoto), Michael Cutajar, apportano cambiamenti sostanziali al rapporto senza consultare gli altri scienziati: nel rapporto poi pubblicato nel 1996 vengono così cancellate tutte le parti che esprimono o generano scetticismo riguardo alla teoria del riscaldamento globale. Come risposta, il 10 luglio 1996, un centinaio di scienziati di fama, riuniti in Germania, firmano una dichiarazione in cui smentiscono le conclusioni dell’IPCC, riguardo al riscaldamento globale e al presunto consenso degli scienziati.

Ma un primo obiettivo dell’IPCC era ormai centrato: all’incontro di presentazione del Secondo Rapporto, l’agenzia Global Environment Facility annuncia che i progetti di ricerca sui cambiamenti climatici avevano visto i finanziamenti passare da 462,3 milioni di dollari a 3,2 miliardi di dollari. Ed era solo l’inizio, perché da allora un flusso sempre più imponente di denaro – miliardi e miliardi di dollari - è andato in ricerche e progetti sul tema. In ogni caso il Rapporto del 1996 aveva anche uno scopo politico, indurre i vari governi all’adozione del Protocollo di Kyoto, cosa che puntualmente avviene l’anno dopo.

Nello stesso tempo comincia l’epurazione dall’IPCC di tutti gli scienziati non in linea con il programma ecologista, personaggi di primo piano nel mondo della scienza del clima, come Richard Lindzen, del MIT di Boston. Il Terzo Rapporto, nel 2001, usa toni ancora più allarmisti, ma l’avvento alla direzione dell’IPCC dell’ingegnere indiano Rajendra Pachauri segna un’ulteriore decisiva sterzata verso la strumentalizzazione politica della scienza. Lo stesso Pachauri non ha mai fatto mistero della sua militanza ecologista e del suo desiderio di vedere un Quarto Rapporto con “un messaggio molto più forte”, il che ha provocato profonde lacerazioni nel mondo scientifico.

Clamorose sono, all’inizio del 2005, le dimissioni di uno dei massimi esperti di uragani tropicali, Christopher Landsea, che con una lettera aperta denuncia Pachauri di aver avallato la manipolazione della sua ricerca per dimostrare un'inesistente conseguenza del riscaldamento globale sugli uragani. Ma altri scienziati di livello mondiale prendono le distanze dall’IPCC e passano alla critica aperta: il noto climatologo australiano John Zillman si dimette dall’ufficio di presidenza dell’IPCC, il capo economista dell’OCSE David Henderson testimonia alla Camera dei Comuni britannica sull’inattendibilità dei modelli climatici presentati dall’IPCC. Anche un certo numero di scienziati da allarmisti diventano scettici, come il francese Claude Allegre, l’ex direttore del New Scientist Nigel Calder, l’americano Reid Bryson, l’ex ecologista britannico David Bellamy.

Ma intanto, quest’anno, è stato presentato il Quarto Rapporto dell’IPCC che – pur non contenendo elementi di novità rispetto al precedente (anzi, ridimensionando alcuni allarmi) – con una campagna mediatica ben orchestrata e in sintonia con la contemporanea uscita del film di Al Gore, ha generato un clima da catastrofe imminente con l’obiettivo – tra l’altro – di costringere l’amministrazione Bush a piegarsi al Protocollo di Kyoto. E il Nobel prova a dare un’ulteriore spinta.