Una campagna internazionale dell’Onu per combattere la mortalità materna si è trasformata in un organismo di pressione per chiedere il diritto all’aborto. E un gruppo di organizzazioni non governative (Ong) di Stati Uniti, Europa e America Latina scrive una lettera ai vertici dell’Onu per protestare contro quello che è un vero e proprio tradimento dei bisogni veri delle donne.
L’iniziativa delle Ong è arrivata all’indomani della conferenza tenuta a Londra dal 18 al 20 ottobre scorsi e denominata “Women Deliver”, prima uscita pubblica della campagna “Deliver Now for Women and Children” (Agisci ora per donne e bambini), lanciata da un gruppo di agenzie dell’Onu e di organizzazioni abortiste. La campagna, coordinata dal vice-direttore esecutivo dell’Unicef Kul Gautam, ha come sponsor – oltre all’Unicef – l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) , il Fondo Onu per la Popolazione (Unfpa), la Fondazione Bill & Melinda Gates, l’International Planned Parenthood Federation (Ippf) e Marie Stopes International (queste ultime due sono vere e proprie multinazionali dell’aborto e della contraccezione).
Lo scopo dichiarato è quello di combattere la mortalità materna, all’interno degli Obiettivi del Millennio approvati dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 2000. Ma fin dal lancio della campagna alla fine di settembre è apparsa evidente una sproporzionata attenzione per promuovere il cosiddetto “aborto sicuro”. La conferenza di Londra ha fugato qualsiasi dubbio – se mai ce ne fossero stati – come dimostra il fatto che delle 98 sessioni di lavoro in cui è stata suddivisa, ben 35 sono state dedicate ai diritti abortivi, mentre appena sei sono state dedicate alla preparazione del personale sanitario per il parto e addirittura una soltanto all’ostetricia d’emergenza. “Eppure sappiamo benissimo - ha detto Susan Yoshihara, vice-presidente del Catholic Family and Human Rights Institute (C-Fam) – che è proprio la preparazione del personale per il parto e per l’ostetricia d’emergenza la chiave per ridurre la mortalità materna”.
Evidentemente però l’obiettivo della conferenza, cui hanno partecipato 1700 delegati, era altro, come hanno chiarito fin dall’apertura il vice segretario generale delle Nazioni Unite, Asha-Rose Magiro (“L’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e alla pianificazione familiare è la chiave”), e Francisco Songare, direttore della campagna “Deliver Now” (“La prima priorità deve essere la salute riproduttiva – l’aborto – e senza tabù”). Sulla stessa linea si sono pronunciati gli altri relatori principali della conferenza: Nafis Sadik, ex direttore dell’Unfpa e attualmente consigliere speciale del segretario generale dell’Onu per la lotta all’Aids, e Mary Robinson, ex Alto Commissario Onu per i diritti umani, che ha spinto proprio sull’inserimento dell’aborto sicuro tra i diritti umani.
Dura la reazione delle organizzazioni non governative pro-life: Robert Walley, direttore esecutivo di MaterCare International, associazione di ostetriche e ginecologi, ha affermato che “è ridicolo concentrarsi su aborto e contraccezione in una conferenza con a tema la mortalità materna. Per definizione la mortalità materna ha a che fare con una donna incinta, non con una gravidanza da evitare o terminare. L’esperienza di tanti anni ci insegna che la morte delle donne può essere prevenuta soltanto con la presenza di personale sanitario preparato. E’ una vergogna che queste agenzie distolgano l’attenzione dai veri bisogni delle donne, ovvero garantire loro un’assistenza ostetrica basata sulla vita, la speranza e la dignità della maternità”.
Da qui la decisione di inviare un documento di protesta ai leader delle Nazioni Unite e delle agenzie coinvolte, firmato dalle ong pro-life che all’Onu hanno uno status consultivo: oltre al C-Fam e MaterCare, troviamo anche Concerned Women for America, l’Instituto de Polìtica Familiar, la World Federation of Catholic Medical Association e altre. Nel documento, tra l’altro, si sostiene che concentrarsi sulla promozione dell’aborto nei Paesi poveri “rischia non solo di perpetuare ma addirittura di accrescere i rischi di mortalità materna” in quanto vengono totalmente “trascurati tutti i reali fattori associati con la mortalità, ovvero le condizioni sanitarie di base, l’acqua pulita, l’igiene, i supplementi nutritivi di base, la cura medica post-natale e perinatale, la fistula, la mutilazione genitale femminile, l’emorragia, la sepsi, il travaglio ostruito, l’eclampsia”.
- Il testo integrale del Documento delle Ong pro-life
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