Per combattere efficacemente l??AIDS ?? così come altre malattie diffuse soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo ?? bisogna combattere la povertà. Vale a dire, la lotta all??AIDS va inserita in una più ampia politica di sviluppo. E?? il senso dell??intervento fatto recentemente al Convegno internazionale del CUAMM (Medici per l??Africa) da monsignor Silvano Tomasi, nunzio apostolico presso le Nazioni Unite di Ginevra. Potrebbe sembrare quasi un??affermazione ovvia, eppure rappresenta una critica di fondo all??attuale indirizzo preso dall??Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalle altre agenzie internazionali. Le politiche globali in fatto di lotta all??AIDS si possono infatti riassumere nel motto ??Investire nella salute per combattere la povertà?. E?? il concetto espresso, ad esempio, dall??ex direttore dell??OMS Gro Harlem Brundtland che, presentando il ??Rapporto 2002 sulle malattie infettive? ha scritto: ??I poveri saranno in grado di uscire dalla povertà solo se godranno di una migliore salute?.
Si tratta di una verità parziale, perché non riconosce che ??l??AIDS è una malattia della povertà?, come dice a SVIPOP Giuliano Rizzardini, primario di malattie infettive a Busto Arsizio e consulente della Santa Sede, con una lunga esperienza in Africa in progetti dell??AVSI (Associazione Volontari per il Servizio Internazionale) e dell??Istituto Superiore di Sanità. Vuol dire che si entra in una spirale perversa: ??La povertà genera AIDS e l??AIDS a sua volta genera povertà?. Che l??AIDS sia una malattia della povertà potrebbe suonare strano, visto che si tende a sottolineare sempre il rapporto con le classiche categorie a rischio: ??Ma è un fatto - dice Rizzardini ?? che è la povertà a favorire la promiscuità. Anche in Italia, aldilà delle categorie a rischio, l??AIDS colpisce tra i ceti più poveri, e questo è vero a maggior ragione nei Paesi in via di sviluppo. Ad esempio, ho potuto constatare personalmente cosa è accaduto nel Nord Uganda: nel 1986 il tasso di infezioni era dell??1%, poi è scoppiata la guerra ed esattamente un anno dopo il tasso era salito al 12%: nella situazione che si era generata le donne si prostituivano?.
La questione dell??approccio nella lotta all??AIDS non è secondaria: riconoscere che l??infezione è figlia della povertà, significa intervenire su una serie di fattori che favoriscono la malattia, che sono economici ma non solo. Ad esempio, concentrarsi sulla disponibilità dei farmaci trascurando la mancanza di strutture sanitarie e di medici, vuol dire andare incontro al fallimento. Allo stesso modo non si possono ignorare i fattori culturali: per moltissimi ?? guardiamo ad esempio l??Africa - l??infezione da HIV è ancora uno stigma sociale, andare da un medico o assumere dei farmaci vuol dire esporsi a sicura emarginazione, per le donne c??è il ripudio. Senza considerare che ci sono anche superstizioni da superare, come quella ?? molto diffusa ?? per cui fare sesso con una vergine toglie all??uomo l??infezione (e questa è certamente una delle cause di diffusione del??AIDS tra le donne).
Ecco perché è necessario investire soprattutto sulla lotta alla povertà in tutti i suoi fattori. E prima arma in questa lotta è l??educazione, ovvero ?? come afferma ancora Rizzardini ?? ??creare un modello di educazione dentro la loro realtà?. Bisogna conoscere e condividere la realtà di queste popolazioni: se c??è infatti un limite negli interventi internazionali, ??è proprio quello di applicare ai Paesi poveri modelli e stili pensati a New York, senza un reale coinvolgimento?. Allora, investire nella sanità diventa nel linguaggio dell??ONU investire nell??invio di preservativi o nei farmaci. Con risvolti addirittura grotteschi: ??Una volta - ricorda Rizzardini ?? ho visto arrivare negli slum di Nairobi partite di preservativi cinesi: essendo universalmente nota la differenza nelle dimensioni tra cinesi e africani, possiamo capire le conseguenze tragiche di questa situazione. E?? l??ennesima dimostrazione di un non riconoscimento della loro realtà?.
L??unico investimento che finora ha funzionato è invece quello educativo, cioè ??rendere protagonisti del proprio futuro: creare lavoro, insegnare il lavoro. Ma anche scolarizzazione?. E?? ciò che i missionari cristiani fanno da sempre: ??Medici presenti sul posto da 30 anni sono credibili per la gente, allora si possono coinvolgere anche i villaggi. Non è un caso ?? continua Rizzardini ?? che la Chiesa gestisca circa il 30% della cura dell??AIDS come di altre malattie e che queste siano le strutture più efficaci?. E non è un caso che l??amministrazione Bush, nel dare vita a un Fondo per la lotta all??AIDS abbia deciso di puntare proprio sulle organizzazioni religiose come punta di diamante per frenare l??infezione.
Quando dovremo attendere perché anche l??OMS e compagnia se ne rendano conto? |