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› La donna nella cultura africana
 
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Oggi in Africa
di Anna Bono

Fino all’epoca della colonizzazione europea ogni tribù ha seguito le proprie tradizioni, eventualmente reinterpretate sotto l’influenza della colonizzazione arabo islamica e poi di quella europea cristiana. Con l’indipendenza i governi africani, salvo alcuni che si sono ispirati alla legge coranica, hanno adottato costituzioni che ricalcavano quelle delle ex madrepatria e, da allora, quasi tutti hanno anche sottoscritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e i numerosi protocolli proposti in seguito dalle Nazioni Unite per promuovere i diritti umani.

Tuttavia, almeno in materia di diritto civile e in particolare per quanto riguarda il diritto di famiglia e dell’eredità, numerosi governi hanno scelto di consentire ai propri cittadini di seguire le norme delle rispettive etnie. Di solito questo significa che il diritto di praticare una tradizione tribale è garantito, a meno che una delle parti in causa si appelli alle norme costituzionali generali.

Per esempio, in un’etnia patrilineare i beni di un capofamiglia possono essere ereditati soltanto dal padre, dagli zii paterni, dai fratelli, dai cugini paralleli maschi e dai figli maschi. Se tutti sono d’accordo, la norma si ritiene valida e viene applicata. Ma le mogli e le figlie possono appellarsi alla legge nazionale invece che le include tra gli eredi.

Ammettere i diritti consuetudinari significa legittimare numerose discriminazioni e limitazioni della libertà personale. Era quindi auspicabile che la sopravvivenza delle norme tribali fosse un provvedimento temporaneo, reso opportuno dall’oggettiva impossibilità di far rispettare leggi inaccettabili, addirittura sacrileghe agli occhi della maggior parte degli africani. Ma educare alla libertà e al rispetto della persona umana non era nei programmi delle leadership africane e dopo tanti anni – l’epoca delle indipendenze incomincia all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso – la completa transizione verso istituzioni che tutelino la dignità e l’integrità dell’uomo senza discriminazioni, così come verso istituzioni davvero democratiche, resta un traguardo lontano.

Intanto il ricorso alle leggi nazionali si è rivelato, come era prevedibile, un’opportunità incerta e un diritto il cui esercizio è ostacolato da mille impedimenti. Il più grave è dato dal fatto che la maggior parte degli africani non ha mai nemmeno sentito parlare di diritti naturali e non sa nulla della costituzione e delle leggi del proprio paese e delle tutele che offrono. Tanto più questo è vero per le persone che subiscono maggiori discriminazioni e ingiustizie: le donne, specie se povere, che quasi sempre ignorano i propri diritti costituzionali o non ne riescono neanche a capire il significato. Si consideri che tuttora circa il 40 per cento dei bambini africani non va a scuola e la percentuale femminile di analfabeti e semi analfabeti è quasi ovunque superiore a quella maschile. Inoltre, anche sapendo di poter ricorrere a una legge più favorevole, molti africani non sono in grado di farsi valere sia perché non dispongono dei mezzi economici necessari sia perché, se vivono in un contesto culturale che ancora approva le norme tradizionali, temono, a ragione, violenze e ritorsioni e sanno di non poter contare sull’aiuto e sulla solidarietà di nessuno.