In ogni villaggio africano, al calar del sole, le donne incominciano a cucinare. I bimbi che le attorniano sono stanchi, qualcuno è ammalato, tutti hanno fame e quindi sono nervosi e facili al pianto. Le nonne li intrattengono raccontando storie edificanti, fiabe e leggende. Di solito, quando il cibo è pronto, i tegami e i piatti colmi sono affidati ad alcuni ragazzini che hanno il compito di portarli ai maschi adulti seduti all’ombra di un albero o di una tettoia, in attesa di essere serviti. Solo dopo aver soddisfatto la loro fame (quella del capofamiglia innanzi tutto che, se è molto anziano, a volte mangia appartato e assistito da un bambino), le donne recuperano ciò che avanza, se lo spartiscono e lo distribuiscono tra i loro figli. Il sacrificio dei bambini sembra una strategia di sopravvivenza irrazionale, assai poco efficace e troppo dolorosa, eppure un piccolo africano condivide l’incerta sorte del leoncino al quale è consentito di accostarsi alla preda solo dopo che gli adulti maschi si sono saziati: suo padre, suo nonno mangiano prima di lui. Se è una femmina è peggio ed è per sempre. Per il piccolo maschio, infatti, la vita ha in serbo tutto il meglio possibile. Dal momento in cui si lascia alle spalle l’infanzia, acquisisce status sempre più elevati ai quali corrispondono privilegi, riconoscimenti, autorità e poteri crescenti. Molte società africane organizzano la vita degli uomini in "classi d’età": allora tutti i maschi di ogni generazione accedono insieme alla prima classe degli adulti, e allo status e alle funzioni corrispondenti, nel corso di solenni riti di iniziazione e poi, a intervalli di anni regolari, e sempre insieme, passano a classi successive consolidando sempre più il loro status. Nel caso delle popolazioni nomadi dell’Africa orientale, per esempio, la prima classe d’età è quella dei guerrieri, seguita da quella dei maschi sposati e da quella degli anziani. In generale quando i figli maschi di un uomo diventano adulti – un traguardo che in Africa si raggiunge tra infanzia e adolescenza – quest’ultimo assume lo status di "anziano" che gli conferisce l’ambito diritto di smettere in parte, e appena possibile del tutto, ogni attività lavorativa. Onore e vanto di un maschio africano è mostrare i propri figli al lavoro in sua vece; e parla con legittima fierezza dei figli maggiori che, insieme alle madri, provvedono ai fratelli minori. "Chi è nato prima conta sempre di più": con questo detto, comune presso diverse etnie, gli Africani spiegano la norma fondamentale che impone la supremazia dei primogeniti all’interno di ogni generazione e quella della generazione più vecchia rispetto a quelle più giovani. È logico che gli "anziani" non lavorino e mangino per primi. Ma tutto questo riguarda l’universo maschile. Per le donne non ci sono classi d’età. Essere chiamate "mamma" e poi "nonna", dai figli dei figli maschi, sono i due traguardi della loro esistenza. Per ogni donna raggiungere il primo traguardo è indispensabile: meglio per lei non essere mai nata se non riesce a generare figli, e soprattutto figli maschi; il secondo traguardo è la sua principale garanzia di una buona vecchiaia perché significa che i suoi figli maschi hanno trovato a loro volta delle mogli fertili, con le quali costituire una famiglia stabile. È solo grazie alle nuore, infatti, che le donne anziane possono ridurre le proprie attività lavorative e domestiche dopo che le figlie sono state sposate e a loro volta servono altre anziane. Così, poiché hanno bisogno di nuore, le donne accettano di vendere le proprie figlie, in cambio dei beni con cui saranno acquistate le mogli dei loro figli, e poiché hanno bisogno di nuore docili ammettono l’uso della violenza anche fisica da parte di figli e generi. Lo status di "madre dello sposo" conferisce alla donna potere di padrona sulle nuore e quindi non solo la solleva dal lavoro, ma la compensa delle mortificazioni e delle violenze subite perché le è consentito usarlo anche con mano molto dura. L’età delle nuore, spesso quasi bambine al momento delle nozze, le rende ancora più indifese specie se la residenza tradizionale della loro etnie è patrilocale e quindi si trovano tra estranei. Ad accrescere il potere della madre dello sposo concorre l’insieme di norme e consuetudini che, assegnando ruoli, status e funzioni diverse ai due sessi, e quindi anche diversi tempi, modi e spazi di lavoro e di riposo, limitano i contatti tra uomini e donne e le loro occasioni di stare insieme anche quando sono sposati. Le tradizioni di alcune etnie prescrivono addirittura che durante il giorno i coniugi non comunichino tra loro e fingano di non conoscersi se per caso si incontrano. Anche senza simili norme, di solito marito e moglie non hanno momenti di intimità se non durante i rapporti sessuali. Ogni insediamento, anche il più piccino, comprende quindi due mondi – uno maschile e uno femminile – complementari, ma distinti e, per la maggior parte del tempo, separati. Il secondo è controllato dalle mogli o dalla prima moglie del capofamiglia che hanno autorità su tutte le altre donne. |