Per tradizione in Africa la famiglia, o più esattamente la comunità famigliare nota come "lignaggio", svolge funzioni produttive e politiche, oltre che riproduttive, e i rapporti di parentela organizzano e determinano ogni aspetto dell’esistenza. Le decisioni relative al matrimonio, vale a dire alla costituzione di ogni nuovo segmento della comunità di lignaggio, sono affidate ai capifamiglia che in molte etnie devono imporre ai figli i coniugi che ritengono convenienti e adeguati senza tenere conto della loro volontà. Anche nelle società che prendono in considerazione le eventuali scelte degli interessati, il consenso alle nozze può essere negato dalle famiglie con decisione indiscutibile e inoltre, di norma, il contratto matrimoniale viene discusso e stipulato dai genitori dei futuri sposi che possono anche non raggiungere un accordo e quindi impedire l’unione. "Piacersi, tra uomo e donna, è affar loro; sposarsi è affare delle loro famiglie": questo modo di dire in uso sulla costa swahili del Kenya illustra con chiarezza il modo in cui guardano al matrimonio le popolazioni africane. Come si è visto, dove si pratica il prezzo della sposa l’accordo tra le famiglie sul suo ammontare è indispensabile e dove si eseguono mutilazioni genitali femminili una donna non è accettata in moglie se non vi è stata sottoposta. Quasi sempre le comunità familiari incoraggiano le nozze tra cugini incrociati, ovvero figli di un fratello e di una sorella, e invece non ammettono che si sposino dei cugini paralleli, cioè figli di due fratelli o di due sorelle. Il motivo è che i cugini paralleli sono considerati fratelli (e hanno con gli zii e con i loro coniugi un rapporto a tutti gli effetti filiale) e quindi la loro unione sarebbe incestuosa. Un’altra regola pressoché universale è l’esclusione di unioni con persone di altre etnie, soprattutto se praticano economie diverse. Anche il momento del matrimonio non è libero. Per esempio, spesso è stabilito che i maschi di una famiglia contraggano le loro prime nozze in ordine di anzianità. Dove esistono le classi d’età maschili, che dividono la vita degli uomini in segmenti caratterizzati da status e ruoli diversi, i maschi possono sposarsi solo dopo essere entrati nella classe d’età degli uomini adulti coniugati, ma allora il matrimonio diventa un obbligo ineludibile. Tanto meno può essere scelto il luogo di residenza. Gran parte delle società africane impongono la residenza patrilocale, ovvero ogni nuova coppia deve abitare nella casa del padre dello sposo o nel territorio da esso controllato; meno frequente è la residenza matrilocale, che impone ai coniugi di abitare con la famiglia paterna della sposa. Universale è l’istituzione della poliginia che consente e in taluni casi impone ai maschi di avere più di una moglie. Oltre al dovere di sposare le vedove di un fratello o di un cugino parallelo, un altro caso che costringe un uomo ad avere più di una moglie, oppure, in alternativa, a sostituirla, è la sterilità delle precedenti unioni. Generare è talmente importante nella cultura africana che se un uomo muore senza figli, un’altra istituzione, il levirato, prevede non solo che la vedova sposi uno dei fratelli del marito, ma che i figli nati da questa unione siano considerati discendenti del defunto. Il lignaggio africano è sempre unilineare: questo significa che la comunità famigliare è composta da tutti coloro che discendono da un antenato comune attraverso una sola linea genealogica, al contrario di quanto avviene nel caso della discendenza detta cognatizia, tipica ad esempio dei paesi occidentali. La discendenza unilineare si definisce patrilineare, quando la linea genealogica è maschile, e matrilineare, quando la linea genealogica è femminile. Nel primo caso status, beni, risorse umane e naturali si tramandano dal padre ai figli, nel secondo caso dal fratello di una donna ai figli di quest’ultima, quindi dallo zio materno ai nipoti. In entrambi i casi, però, ed è bene sottolinearlo, la discendenza passa da una generazione di maschi a un’altra: sono i maschi, in quanto figli o nipoti, a ereditare, non le donne, siano esse figlie, nipoti o mogli. |