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inserito il: 27-6-2007
"Europa vecchia? Investa sugli anziani"
di Riccardo Cascioli
Lunga vita all’Europa, ma solo se saprà capitalizzare i benefici dell’attuale situazione di ricchezza e di salute. È la sfida che lancia l’economista americano Nicholas Eberstadt, autore di un recente saggio su questo tema apparso sulla rivista Foreign Affairs. Incontriamo Eberstadt a Milano, dove è venuto a presentare le sue ricerche economiche e demografiche sull’Europa in una conferenza organizzata dall’Istituto Bruno Leoni. Alto, fisico asciutto, aspetto molto giovanile, una t-shirt informale che non ha nulla di cattedratico, Eberstadt potrebbe essere il testimonial giusto per una campagna sulla buona salute. Che invece, secondo Eberstadt, è l’Europa a godere, con dei vecchietti arzilli che anche l’America ci invidia.

Professor Eberstadt, quando si parla delle tendenze demografiche in Europa, si guarda generalmente con allarme a un continente sempre più vecchio.
Il dato oggettivo è che non si è mai vissuto così a lungo e così in buona salute. Se guardiamo ai tassi di mortalità, constatiamo che in Italia l’aspettativa di vita è nettamente migliorata rispetto a 10-20 anni fa e per tutte le fasce di età. Questa è una tendenza di lungo periodo, dato che in Europa il tasso di mortalità si è praticamente dimezzato negli ultimi 50 anni e tutti gli indicatori prevedono che tale tendenza continuerà in futuro. A meno, ovviamente, di eventi imprevedibili che possono sempre accadere. E questo è un dato positivo, segno che nella società europea si vive sempre meglio.

Eppure, mai come in questo periodo sentiamo continui allarmi sulla salute, in generale legati all’inquinamento o agli stili di vita.
Sono allarmi che non trovano riscontro nella realtà. È il paradosso dei Paesi ricchi: quanto più aumenta il benessere e la sicurezza tanto più aumentano le paure. Ma ripeto: si vive più a lungo e con una salute in costante miglioramento, è oggettivo. Il vero problema, dal punto di vista demografico,  è nella decisione degli europei di non fare più figli. È una scelta sbagliata che comporta una serie di conseguenze negative che a lungo andare minacciano proprio quello stato di salute di cui parlavo prima. Eppure non è sui tassi di fertilità che si deve agire primariamente.

Perché no?
Anche se domani il tasso di fertilità delle donne europee si impennasse dagli attuali 1,5 figli per donna ai 2,1 che rappresentano il livello di sostituzione – ipotesi peraltro assolutamente fantasiosa – per riequilibrare la composizione della popolazione ci vorrebbero generazioni, mentre l’Europa ha bisogno di correggere immediatamente la rotta se vuole evitare il declino e sfruttare il "bonus" dato dalla salute di cui gode la popolazione anziana.

Allora su cosa bisogna agire prioritariamente?
Con un termine economico, possiamo dire che si deve fare un uso produttivo del capitale umano, valorizzare le conoscenze e l’esperienza della popolazione anziana. In Europa – e in Italia in particolare – assistiamo invece a un paradosso: mai nessuna generazione ha vissuto più a lungo e mai nessuna generazione è andata in pensione così presto. Le conseguenze economiche sono evidenti.

Quindi, propone un aumento dell’età pensionabile.
Questo è solo un aspetto, certamente non l’unico. Deve cambiare radicalmente la struttura del mondo produttivo. Per consentire di lavorare più a lungo e mettere a frutto le possibilità degli anziani è necessario che ci sia una notevole flessibilità nel lavoro, che si pensi a una formazione permanente e a una continua riqualificazione che duri per tutti gli anni lavorativi, che si elaborino diversi schemi pensionistici per adeguarsi alla realtà cambiata. Ma si badi bene: lo scopo vero non è contenere la spesa previdenziale, ma il rinnovarsi di un circolo virtuoso che consenta prosperità e sviluppo. Le ricerche dimostrano che in tutto il mondo esiste una stretta connessione tra salute e ricchezza: più si sta bene più si produce ricchezza, più si è ricchi più migliorano le condizioni di vita e perciò la salute. Si è calcolato che ogni anno in più di aspettativa di vita è associato con un aumento del 7% del Prodotto Interno Lordo pro capite. L’Europa deve far fruttare questa opportunità che oggi le si presenta.

Non c’è dubbio però che l’aumento degli anziani comporti una spesa crescente del sistema sanitario, con tutto quel che ne consegue in termini di bilancio.
Anche qui credo si tratti di cambiare mentalità. I governi europei si concentrano totalmente sul contenimento e sulla riduzione della spesa sanitaria, ma è una scelta perdente. Che la spesa sanitaria assorba una quota crescente del bilancio statale non è un male in sé. Il problema è vedere se questa spesa sanitaria è un investimento oppure mero assistenzialismo. Certo è che se si va in pensione anche a 50 anni, questo diventa un grave problema.

Che cosa intende per investimento?
Se la priorità è la salute delle persone, l’obiettivo anziché la riduzione della spesa sanitaria deve essere la minimizzazione del costo della malattia. Ciò implica investire in ricerca: nuovi farmaci e nuove tecnologie. Queste – come per tutti gli apparecchi elettronici – hanno un costo iniziale alto ma si abbassa molto velocemente e abbassano il costo generale della spesa medica. Basti pensare al loro uso nei programmi di prevenzione, come gli screening, che in questi anni hanno già contribuito al calo dei tassi di mortalità. Altrettanto importanti sono i programmi di educazione, che incoraggiano le persone a stili di vita sani e comportamenti virtuosi.
Lei diceva che i tassi di fertilità non sono il primo fattore su cui agire. Eppure le statistiche ci mostrano che l’Europa negli ultimi trent’anni ha perso competitività nei confronti degli Usa anche a causa delle basse nascite, visto che negli Stati Uniti il tasso di fertilità è di 2 figli per donna.
Non c’è dubbio che questo sia un fattore importantissimo, ma è molto più difficile intervenire in termini politici ed economici. Non è una questione che si risolve con una maggiore disponibilità di asili nido. Se mettiamo a confronto le ricerche comparate sulla fertilità negli Usa e in Europa, troviamo che la differenza è soprattutto nei valori e nel credo religioso. Le famiglie "religiose" in Europa hanno tassi di fertilità analoghi alle famiglie "religiose" negli Stati Uniti, e lo stesso vale per le famiglie e coppie "non religiose". La differenza nei tassi di fertilità, dunque, sta soprattutto nel fatto che negli Usa ci sono più persone che seguono una religione.