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inserito il: 8-6-2010
UN TRIBUNALE PER LA MADRE TERRA
di Anna Bono


È in corso in Germania, a Bonn, dal 31 maggio e terminerà l’11 giugno la sessione ufficiale della ‘Convenzione quadro per i cambiamenti climatici delle Nazioni Unite’, ultimo appuntamento per definire un piano d’azione contro i cambiamenti climatici in vista del summit internazionale che si terrà a fine anno a Cancun, Messico.

È in discussione tra l’altro il documento finale della ‘Conferenza mondiale dei popoli sui cambiamenti climatici e i diritti della Madre Terra’, svoltasi a Cochabamba, Bolivia, dal 19 al 22 aprile, conclusasi con un consenso unanime all’istituzione di un Tribunale internazionale di giustizia climatica e ambientale, destinato a giudicare stati, organismi pubblici e privati e persone colpevoli di far aumentare le temperature e di distruggere Madre Terra.

Inoltre la Conferenza di Cochabamba ha deciso di convocare per il 22 aprile del 2011 (data in cui si celebrerà come ogni anno la Giornata della Terra) un referendum mondiale sull’ambiente, ponendo alla popolazione del pianeta alcune domande, una delle quali sarà all’incirca: “Siete d’accordo di abbandonare il modello di sovrapproduzione e di consumismo per ristabilire l’armonia con la Natura?”.

Il presidente della Bolivia Evo Morales, principale promotore dell’iniziativa che a quanto pare ha fatto accorrere a Cochabamba oltre 20.000 persone in rappresentanza di tutti i continenti, ha anche annunciato la nascita di un ‘Movimento internazionale per la difesa della Madre Terra’ mentre i rappresentanti dei popoli indigeni americani, modelli di “buen vivir”, lo stile ancestrale di convivenza con Madre Terra, hanno proposto la creazione di una ‘Alleanza mondiale dei popoli’ con l’obiettivo di ottenere dai governi e dalle multinazionali responsabili della crisi ambientale di rimediarvi affidandosi alle etnie originarie di ogni nazione.

“Ci organizzeremo e potenzieremo in tutto il mondo per costringere i paesi sviluppati a rispettare le nostre conclusioni” ha minacciato Morales indicando come prossimo campo di battaglia contro chi oltraggia Madre Terra, il terzo dopo Copenhagen e Cochabamba, il prossimo vertice internazionale di Cancun.

Tra i molti commenti all’evento di Cochabamba, il più immediato e ovvio è l’inesistenza del fenomeno – la “crisi ambientale”– dal quale i partecipanti pretendono di salvare il pianeta con tribunali e alleanze e scatenando una guerra contro il modello di civiltà occidentale accusato di esserne responsabile per avidità e ignoranza: “il surriscaldamento del pianeta – si legge in uno dei documenti presentati alla conferenza – è conseguenza delle azioni umane che hanno rotto il rapporto di armonia con la Madre Terra. Il malessere della Madre Terra è conseguenza delle pratiche occidentali che hanno sconvolto il ‘buen vivir’ dei popoli indigeni i quali per secoli hanno mantenuto un rapporto di reciprocità con l’ambiente da cui viene la vita. Il futuro del pianeta dipende dalla saggezza ancestrale dei popoli indigeni e si riassume nella proposta del buen vivir’”.

Eppure persino l’Ipcc, l’organo delle Nazioni Unite che ha diffuso il panico del global warming, ha dovuto riconoscere l’inconsistenza scientifica delle prove addotte dai propri esperti riguarrdo ad alcuni fenomeni. Inoltre, con oltre un miliardo di persone che già patiscono la fame, abbandonare sovrapproduzione e consumismo come chiede il documento approvato dalla conferenza, significa condannare a morte almeno un sesto dell’umanità: se infatti chi produce più del necessario smettesse di farlo, dove si troverebbe di che sfamare, vestire, curare e riparare dalle intemperie chi ne ha bisogno, e proprio nel momento in cui il consumo responsabile predicato dagli ambientalisti ridurrebbe la richiesta di beni superflui come il cacao, il te o i fiori recisi, colture dalle quali dipende la vita di centinaia di migliaia di famiglie nei paesi del sud del mondo?

Ma soprattutto è sorprendente, e francamente inverosimile, che Morales e i rappresentanti delle popolazioni indigene sudamericane conoscano così poco la storia del loro continente da non sapere che le società ancestrali proposte come modello di “buen vivir” sono piuttosto esempi penosi di come l’umanità, quando utilizza tecnologie rudimentali e sceglie un’organizzazione del lavoro inefficiente, subisce impotente i danni causati dai fenomeni atmosferici e stenta a superare la soglia della mera sussistenza, dovendo inoltre ricorrere sistematicamente alla razzia, per integrare le risorse spesso scarse di cui dispone, e al conflitto armato, per conquistare e conservare pascoli, terre fertili, acque pescose, sorgenti e boschi. Ne derivano condizioni di vita alle quali nessuno può auspicare di far ritorno: elevatissima mortalità infantile e materna, brevità della vita, alto rischio di malattie e di incidenti mortali e invalidanti, istituzioni sociali volte a limitare o escludere le libertà personali, sacrificando gli individui alla comunità, ostilità permanente tra comunità antagoniste e, di conseguenza, uno stato generale di insicurezza e di paura.

Né mancano, tuttavia, gli esempi di danni irreparabili alla natura, all’epoca del “buen vivir”. I Maya devastarono il loro ecosistema tanto da causare la decadenza della loro stessa civiltà e le popolazioni sudamericane (e nordamericane) in epoca precoloniale cacciarono i cavalli fino a provocarne la totale estinzione. Furono gli esemplari importati dagli spagnoli a ripopolare tutto il continente.